FLOROVIVAISMO: EXPORT 2024 -2% SECONDO I DATI ISMEA A RISCHIO IL SALDO
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in Editoriali

I dati ISMEA diffusi il 16 aprile smentiscono l'ottimismo generalizzato: il calo dell’export e un saldo parziale senza dicembre mostrano un settore florovivaistico in contrazione.
Alla luce dei dati ISMEA dello scorso 16 aprile sull’export, finalmente un dato ufficiale smaschera l’illusione ottica del florovivaismo in crescita. Ecco la mia lettura. In questi giorni, più che un rincorrersi di titoli entusiastici, colpisce il silenzio assordante della stampa e dei canali digitali. Da febbraio a oggi, dopo gli annunci e le stime ottimistiche legate a eventi come Myplant & Garden, si è abbassato un velo. Eppure, proprio ora che ISMEA ha diffuso i dati sull’export e l'import florovivaistico aggiornati ai primi undici mesi del 2024, ci sarebbe da parlare eccome.
Un dato secco, chiaro, senza sovrastrutture: 1.173 milioni di euro, in calo rispetto ai 1.197 milioni del 2023. Un –2% tondo che, a dispetto della stagionalità natalizia ancora da computare, ci racconta già una tendenza consolidata. Quella di un export che arretra, mentre l’import cala ancor più (da 888 a 798 milioni), migliorando il saldo commerciale a 374 milioni. Tutto bello? Non proprio.
Perché questi numeri sono in valore, e sappiamo bene che nel 2024 i prezzi delle piante sono saliti tra il +5% e il +7%. Tradotto: vendiamo meno piante, le vendiamo a più caro prezzo, eppure il fatturato estero cala. Il che significa una sola cosa: le quantità sono crollate ben più del 2% nominale.
È da qui che ho deciso di scrivere. Perché da mesi – da Myplant & Garden in avanti – si inneggia a una crescita che non si capisce bene dove guardi. Il celebre 3,3 miliardi di Coldiretti (con tanto di studio Divulga e Ixe) appare come un gigante dai piedi d’argilla: dentro ci trovi anche gli 800-900 milioni di importazioni, mentre la produzione nazionale, quella vera, arranca. E lo stesso vale per Confagricoltura, che almeno ammette un aumento più realistico (+1,6%), e per Myplant, che si posiziona al centro con un +3,5%.
Ma il punto, il vero nodo, è che nessuno scorpora davvero floricoltura da vivaismo. Eppure le dinamiche sono opposte: la prima vive su volumi rapidi e ricorrenze, il secondo su investimenti lenti e capitalizzazione nel tempo. Se li sommi, falsi la lettura. E se poi dimentichi che le piante vendute nel 2024 sono state coltivate nel 2021, allora rischi di confondere la pioggia col cielo.
Il mercato, intanto, cambia. Cresce l’import, +47% in quantità, e cresce dalla porta di servizio: quella olandese, che triangola tutto il triangolabile – dall’Ecuador alla Cina – e lo fa con costi energetici dimezzati, logistica più fluida e una rete distributiva che fa invidia anche ai nostri migliori consorzi.
Su Floraviva e nel nostro spazio dedicato ilvivaista.it, dal 2009 cerchiamo di offrire una lettura meno euforica e più aderente alla realtà del settore. Non per polemica, ma per affetto: perché se non lo capiamo per primi noi, chi dovrebbe tutelarlo, questo comparto?
Oggi, grazie al dato ISMEA, sento di poterlo dire con serenità: la crescita c’è, ma solo nei numeri nominali. La produzione nazionale mostra una contrazione reale, e il settore rischia di reggersi su fondamenta traballanti se non si interviene. Servono misure strutturali, contratti di filiera e di coltivazione, regole chiare sull’import, incentivi veri al consumo di verde. Non slogan fieristici, ma politiche di visione. E soprattutto, serve chiarezza: chiarezza su cosa realmente misura il dato, su cosa include e cosa esclude, su quale porzione del comparto rappresenta davvero. Perché senza questa trasparenza analitica, anche il miglior dato rischia di essere solo un’illusione statistica.
Andrea Vitali