Il Giardino di Leonardo da Vinci fra l'essere e il non essere
Alessandro Vezzosi, fondatore con Agnese Sabato del ‘Giardino di Leonardo e dell’utopia’ e direttore del ‘Museo ideale Leonardo da Vinci’, nel paese natale di Leonardo, ce lo illustra dicendo che al momento è «dormiente». Anche il museo è fisicamente chiuso da 6 anni, ma sempre attivo e organizza eventi espositivi in Italia e all’estero: in questo momento una mostra a Tokyo da 4 mila visitatori al giorno. L’intento di Vezzosi e collaboratori resta «tradurre in vita l’eredità di Leonardo, senza retorica ma con linguaggi nuovi e possibilmente rilevanti sul piano estetico e concettuale».
Un giardino che c’è e che non c’è, che vive nel passato e nel futuro, in quel che è stato e in quel che sarà o potrebbe essere. Ma che soprattutto è il frutto in divenire di un sapiente gioco dialettico fra idealità progettuale e realtà, permanente o effimera: un’opera vivente in cui confluiscono la filologia e il suo uso creativo con i linguaggi dell’arte contemporanea e della scienza.
E’ il ‘Giardino di Leonardo e dell’utopia’ di Vinci, nato nel 1997 da una costola del ‘Museo ideale Leonardo da Vinci’, che era stato fondato quattro anni prima nella galleria sotterranea e nelle antiche cantine del castello di Vinci da un gruppo di studiosi e artisti coordinati da Alessandro Vezzosi (leonardista e critico d’arte) e sua moglie Agnese Sabato (storica, presidente dell’Associazione Internazionale Leonardo Da Vinci), sotto l’egida dell’Armand Hammer Center for Leonardo Studies dell’Università di California. Museo fondato con il patrocinio degli enti locali e riconosciuto d’interesse pubblico nel 1999 che si propone di «trattare la complessità di Leonardo artista, scienziato, inventore e designer in rapporto alla sua biografia, ai suoi territori e alla sua attualità»; ma che da sei anni è fisicamente chiuso «per infiltrazioni d’acqua da strutture soprastanti». Giardino e Museo erano fin dall’inizio destinati a dar vita un “Centro di arte natura e scienza per la Toscana di Leonardo”, con un villaggio della creatività comprendente foresterie per artisti e scienziati e spazi per convegni e mostre.
Si tratta dunque di un «giardino dormiente», per usare la definizione di Alessandro Vezzosi, sentito al termine di una conferenza organizzata qualche giorno fa dall’associazione ‘Per Boboli’ al Teatro del Rondò di Bacco di Firenze. Non era facile intervistare sulla sua creatura, in sospeso fra l’essere e il non essere, ma al tempo stesso così viva e presente nella cultura non solo nazionale, il coltissimo direttore Vezzosi senza lasciarsi trasportare in un infinito viaggio di rimandi culturali. Ma Floraviva ci ha provato e gli ha chiesto di presentare il Giardino di Leonardo e dell’utopia illustrando, uno per uno, i suoi tre elementi fondamentali: il ‘Labirinto dei vinci’, il ‘Sentiero di alberi e fiori diversi’, il ‘Nodo infinito di rose gioconde’.
In cosa consiste il ‘Labirinto dei vinci’, questa «realizzazione permanente di arte-natura-scienza», come è scritto sul vostro sito web, ispirata al «disegno del labirinto di Leonardo» da lei ricostruito a partire da alcuni schizzi del 1497? Nella conferenza ha spiegato che il labirinto fu prima realizzato, in un’area di 3000 metri quadrati per un percorso di 800 metri, fra i girasoli, i quali furono poi sostituiti da 1500 salici purpurei, i “vinci”? Cosa rimane adesso?
«Intanto va premesso che il labirinto è uno dei simboli di riferimento assoluti per i giardini e per tutta la cultura universale; quindi ricostruire, a partire da piccoli segni, la forma di un “giardino di Leonardo” assunse un valore emblematico per la nascita dell’intero giardino e anche per i suoi rapporti con il Museo ideale. Così, prima del 1997, avevamo pensato che il disegno del labirinto si poteva ragionevolmente realizzare “in negativo” in una distesa di piante, all’interno di una texture esistente. Allora la scelta cadde sul girasole poiché si prestava per mille ragioni: come simbolo e per la sua forma, per i suoi colori e le sue dimensioni. Ma anche per un’altra ragione quasi provocatoria. C’è un rebus di Leonardo che dice “gira il sole” e che raffigura schematicamente quello che per lui è il girasole; siamo prima della scoperta dell’America, anzi quasi in contemporanea, e questo pone degli interrogativi: si riferiva con “girasole” a qualche altra pianta? Oppure per qualche strano motivo era a conoscenza dell’esistenza dei girasoli, quando nella botanica storica non mi risulta che il girasole fosse già arrivato in Europa (poi naturalmente quello che noi abbiamo approfondito in una ricerca del 1997 oggi può essere smentito da nuove scoperte e può darsi che anche in Europa si trovasse il girasole)? Allora questa era una maniera per realizzare qualcosa di estremamente rilevante sul piano pratico (il labirinto era percorribile in una sorta di immersione nella natura), concettuale e riflessivo, e sul piano dell’estetica, della piacevolezza di questa distesa di girasoli, e poi anche per richiamare il fatto che l’arte nel giardino, e in tante altre sue espressioni, ha una straordinaria componente di effimero. E questo labirinto naturalmente era stagionale: lo abbiamo realizzato nel 1997 e poi l’anno successivo».
Come si è passati ai vinci al posto dei girasoli?
«Ci arrivo. Ma prima alcuni flash sul modo in cui è stato allestito e animato il labirinto. All’interno di esso abbiamo collocato dei segreti, abbiamo fatto performance, abbiamo realizzato la selva di voci (un riferimento a un progetto presentato con Eugenio Battisti per Pratolino Giardino d’Europa nel 1986); i piccoli aeroplani che lo sorvolavano lanciavano le piume di Icaro con le scritte di poeti, artisti e personalità diverse; un elicottero della polizia trovò un vuoto d’aria e rischiò di cadere nel labirinto… Ecco tutto questo ha creato veramente un clima straordinario. Era tutto studiato con una serie di correlazioni anche per creare un’emozione condivisa e partecipata dalla folla e su un livello che a noi piace, quello dell’arte diffusa, l’arte vissuta. Perché il Museo ideale di Leonardo è stato da noi concepito proprio come un’opera d’arte vivente, e questo vale ancor più per il giardino e il labirinto».
E la sostituzione di piante come è avvenuta?
«Si è ritenuto opportuno creare una struttura permanente, senza ripartire ogni anno da zero. Si impiegava un sistema tecnologico di puntamenti che era molto impegnativo da realizzare. Allora siamo passati all’idea emblematica per eccellenza: i “vinci”, che hanno dato il nome al paese natale di Leonardo, alla sua famiglia e alla sua accademia, e sono simbolici per il concetto leonardiano di intreccio di saperi e di culture. Avevamo già fatto un sentiero dei vinci e ci siamo detti: facciamo il labirinto con i vinci, perché è bello d’inverno con il suo colore rosso, e florido d’estate ecc. E’ stato realizzato due anni dopo nello stesso luogo. E c’è ancora, ma incontrollato. Stiamo aspettando di poter rilanciare il Museo ideale e con esso il giardino, magari per il 2019, 5° centenario della morte di Leonardo.. Questo giardino era diventato davvero un luogo di riflessione. All’interno del cerchio finale, con le sedute di intrecci, si creava un ambiente introspettivo, un luogo di meditazione, un percorso di riflessione come lo è il labirinto classico…»
Quale dei due altri elementi è stato creato dopo il labirinto?
«Dopo il labirinto è nato il ‘Sentiero di alberi e fiori diversi’. E’ nato perché per Pratolino con Bruno Munari avevamo progettato di realizzare un ‘Viale degli alberi diversi’. Abbiamo prima realizzato un sentiero di vinci, molto naturale, con gli alberi che crescevano spontaneamente lungo un torrente (ed esiste ancora). Ma poi abbiamo detto: facciamo un lavoro più rigoroso; l’idea di Bruno Munari - grandissimo artista - la trasformiamo in una creazione dal nome più modesto, ma che esprima una concezione simbolica di arte, natura scienza; quindi lo chiamiamo “sentiero”; poi però parliamo anche di fiori, non solo di alberi; e coinvolgiamo in questa operazione le scelte di personalità significative: dal presidente della repubblica Ciampi a una scienziata come Rita Levi Montalcini, il poeta, lo scrittore, il pittore, lo scultore, il designer, e quindi Sottsass, Portoghesi e Mendini a Spoerri, Luzi, Giuliano Gori …»
Coinvolti in che modo?
«Con la scelta di un albero o un fiore da piantare: ognuno di questi celebri personaggi ci ha inviato il nome della pianta scelta. Tra l’altro, ricordo che nel 2007 è venuto il presidente della repubblica Giorgio Napolitano che ha dedicato un testo, una frase molto bella al museo e al giardino: “un’esperienza unica in Europa che onora il genio di Leonardo in uno spazio dove arte, natura e scienza si fondono con forti significati poetici, simbolici ed estetici e sottolineano l’universalità e la molteplicità delle attività e degli interessi di Leonardo, come invito alla pace e al dialogo fra culture diverse». E l’ultimo albero che abbiamo messo a dimora è stato quello del presidente Napolitano a cui avrebbe fatto seguito quello del presidente Sarkozy, nell’ottica del gemellaggio fra Vinci e Amboise (dove morì Leonardo nel 1519) ovvero fra l’Italia e la Francia».
Queste piante ci sono ancora?
«Ci sono ancora, però anche quelle dormono. Comunque abbiamo buoni propositi perché è stato un investimento, una fatica ed è un’idea bellissima. Non va dimenticata, nel sentiero, la componente artistica. Questo sentiero è una spirale che si basa sulla sezione aurea, quindi c’è tutta una logica leonardiana, perché Leonardo ha avuto un’attenzione particolare per il tema della spirale e l’ha studiata in tante forme partendo dal problema geometrico e matematico per tante applicazioni dal punto di vista artistico. Ci sono alberi, però nella nostra idea dovrebbero esserci anche parole. Questa è un’evoluzione che ci stiamo immaginando perché all’interno del giardino pensavamo a tutta una serie di percorsi di parole e opere d’arte».
E come le immaginate precisamente le parole? Come installazioni sonore?
«In due componenti. Una è quella sonora dei bisbigli, come evoluzione anche del progetto di Eugenio Battisti, e quindi delle voci e delle musiche, intendendo il concerto di parole. L’altra sono però brani di poesia, e anche testi di Leonardo, scolpiti. Naturalmente un ruolo importante in tutto questo l’avranno gli artisti che lavoreranno per realizzare questi progetti».
Non è stato ancora realizzato niente in tale senso?
«Sono state presentate più volte opere di artisti, come ho accennato stasera, ma poi sono state tutte tolte. Erano provvisorie, in attesa di un’attivazione complessiva del Museo all’aperto».
Come è andata invece con il ‘Nodo infinto di rose gioconde’?
«Il nodo è la terza parte, che collega fra loro gli altri due elementi. Si trattava di questo nodo infinito, che noi abbiamo detto essere ispirato alla Gioconda, perché la Gioconda ha un nodo qui sulla veste. Un nodo che fa pensare a quello che ha realizzato di recente Pistoletto, questo segno di infinito moltiplicato. La logica in questo caso era interpretare il simbolo di Leonardo del nodo vinciano. E’ un nodo infinito di varie forme: ne ha fatte sei cartelle, che prima ha realizzato tramite probabilmente la collaborazione di un suo allievo incisore, e poi è stata ripresa nei primi anni del ‘500 niente meno che da Albrecht Dürer, considerato il Leonardo tedesco».
Il nodo infinito è stato realizzato davvero nel giardino e c’è ancora?
«Sì, dopo gli altri due elementi. Ed è stato fatto con rose selvatiche di vari colori, che abbiamo definito gioconde. Sono rimasti tanti di questi cespugli. Naturalmente è tutto da reintegrare…»
Per chi volesse avventurarsi a vedere il giardino, dove si trova esattamente?
«E’ in una posizione strategica alle porte di Vinci, fra via collinare e la cerretese. Ma in questo momento non è possibile visitarlo. E’ di proprietà privata, nostra, ma vorremmo che, grazie al riconoscimento pubblico, diventasse patrimonio dell’umanità. Perché il concetto che ho evidenziato anche nella conferenza con quella veduta dall’alto del paesaggio in cornice (proprio sopra il luogo dove è iniziato a nascere il giardino) veduta ripresa dalle mongolfiere in volo e in concerto, è che il museo non deve essere solo un luogo chiuso e non deve nemmeno essere soltanto quello definito museo all’aperto. In realtà, ci auguriamo che il territorio diventi un museo con il proprio vissuto civile e socio-culturale».
Senta, se tutto andasse bene e nel 2019 il museo e il giardino fossero di nuovo aperti e pienamente in funzione, continuerete a concepirli come un organismo in divenire, animato da iniziative e allestimenti dinamici, o questa impostazione è stata anche un modo per fare di necessità virtù?
«Quello che abbiamo fatto a Vinci nel Museo Ideale e nel Giardino di Leonardo è quello che attualmente stiamo facendo con le mostre esterne e con una serie di eventi. Il concetto è sempre lo stesso: tradurre in vita quella che è l’eredità di Leonardo, senza retorica, ma con linguaggi nuovi e possibilmente rilevanti sul piano dell’estetica e della concettualità. Ecco questo sicuramente sarà una costante e cercheremo anche nei prossimi mesi di evidenziarlo. Del resto, ciò vale a tutti i livelli e in tutte le epoche. Anche per Leonardo sicuramente era facile immaginarsi una città ideale, immaginarsi la deviazione dell’Arno da Firenze a Pisa, e anche progettarla. Però la realizzazione era difficile. Ma c’erano e ci sono comunque delle soluzioni interessantissime: la prefabbricazione, che si applica benissimo all’effimero del giardino e delle feste teatrali. In effetti la creatività e le idee di Leonardo trovano una più facile espressione nella dimensione del giardino e del teatro (e lo abbiamo dimostrato con il Teatro dell’Universo e della Montagna che si apre), lì veramente tutta una serie di marchingegni possono essere trasformati in applicazioni di ingegni teatrali e ingegni dell’artificio fra arte, natura e scienza, per un giardino delle meraviglie e dell’utopia».
Lorenzo Sandiford