Quali tipi di paesaggi, piante e rapporti paesaggisti-vivaisti nel nuovo verde urbano? 

Ferrini Gatti

Le risposte dell’agronoma paesaggista Laura Gatti e del prof. Francesco Ferrini alla conferenza “Forme di verde urbano” del 13 dicembre a Monsummano Terme (Pistoia) in occasione dell’assemblea dell’Associazione vivaisti italiani (Avi). Gatti: «senza contratti di coltivazione i vivaisti non possono produrre il materiale vegetale richiesto da noi paesaggisti, che non è più un materiale standard ma diversificato in forme, misure e specie in funzione delle prestazioni da svolgere, che vanno rendicontate». Ferrini: «vivai centrali nella transizione ecologica, non sono solo luoghi di produzione, ma centri di innovazione e insieme ai centri di ricerca possono sviluppare nuove varietà arboree capaci di resistere a condizioni climatiche estreme; ma servono finanziamenti dedicati».

ferrini gatti spalle

«Si parla di tendenza alla diversificazione del verde urbano nel senso che ci si aspetta dal verde urbano la realizzazione di tutta una serie di benefici e servizi ecosistemici: non è più solo un punto di vista ornamentale, ma di arricchimento in termini di benefici ambientali e psicologici che fanno sì che il livello del progetto si alzi, si ampli e si diversifichi. E quindi anche gli strumenti [in particolare le piante, ndr] che noi utilizziamo per realizzare queste progettazioni devono diversificarsi e diventare sempre più performanti dal punto di vista funzionale».
Così Laura Gatti, gatti 1agronoma paesaggista di fama mondiale nota al grande pubblico per la collaborazione al Bosco Verticale di Boeri, ha sintetizzato ai giornalisti, prima dell’inizio della conferenza “Forme di verde urbano: come garantire piante di qualità per città più sane ed eco-sostenibili?” organizzata dall’Associazione vivaisti italiani (Avi) venerdì 13 dicembre alla Grotta Giusti di Monsummano Terme (Pistoia), il significato del titolo della sua relazione “Diversificazione e multifunzionalità nel presente e nel futuro del verde urbano: alleanza e condivisione fra vivaista e paesaggista”. Conferenza a cui è intervenuto come relatore anche il prof. Francesco Ferrini, presidente del Distretto vivaistico ornamentale della Provincia di Pistoia nonché prestigioso docente di arboricoltura dell’Università di Firenze.
E perché, in quel titolo, si parla di «alleanza e condivisione fra vivaista e paesaggista»? Perché essi devono «lavorare insieme per tempo», ha spiegato Laura Gatti, cioè devono «avere la possibilità di effettuare delle programmazioni articolate». «Questo è un po’ il nostro compito – ha proseguito -, il compito dei progettisti che devono convincere un certo tipo di clientela, che per lo più in passato è stata riottosa, perché questa attività è sempre stata confinata alle ultime fasi non solo del progetto ma della realizzazione stessa e spesso con i pochi soldi che rimanevano. Bisogna far capire invece l’importanza di partire per tempo e avere al fianco delle realtà della produzione vivaistica che siano in grado di accompagnarci dal punto di vista della qualità e dal punto di vista anche numerico nella produzione del materiale vegetale che occorre per realizzare soluzioni che sono sempre più diverse e sempre più prestazionali. E noi progettisti siamo chiamati adesso anche dalla normativa a rendere conto numericamente dei benefici generati».
Tutto ciò come si traduce concretamente nel rapporto fra vivaisti e paesaggisti? Nell’uso dei «contratti di coltivazione», risponde Laura Gatti, «che sono ormai una realtà in Italia almeno da una dozzina di anni e all’estero anche di più e sono un elemento che ricorre anche all’interno della normativa di settore ma che deve essere sicuramente maggiormente implementato, perché senza questi non è possibile pretendere da una struttura [un’azienda vivaistica, ndr] che abbia la possibilità di produrre quel materiale vegetale, che non è più un materiale standard, ma diversificato in forme, misure e specie in funzione delle prestazioni da svolgere».
Come ben riassunto in una slide della relazione di Laura Gatti, le funzioni e servizi degli spazi verdi intesi come infrastrutture ecologiche dell’ecosistema urbano sono numerose. Fra queste, nella voce “servizi ambientali”, rientrano la protezione termica degli edifici, la lotta agli effetti delle isole di calore, l’ombreggiamento e raffrescamento, l’accumulo e ritenzione di acqua piovana, la qualità dell’acqua di deflusso e la qualità dell’aria. Ma vi sono anche altre funzioni importanti per la salute, quali i positivi effetti fisiologici e cognitivi che contribuiscono a una rigenerazione mentale e psicofisica. A fronte di queste finalità, i paesaggisti «inventano nuove tipologie di spazi vegetati» che non sono «né giardino pubblico tradizionale, né spazi verdi sterili, né friche (incolti)», bensì «paesaggi del recupero o del riuso», «paesaggi resilienti», «DIY (fai da te)», «della rigenerazione urbana», «che si sanno adattare», «della sostenibilità», «dell’integrazione fra verde e costruito», «della biodiversità» e «dell’agricoltura urbana sostenibile».
Francesco FerriniChe cosa comportano queste tendenze dell’architettura del paesaggio e della progettazione verde, nel contesto del cambiamento climatico e dell’accresciuto livello dei rischi fitosanitari, nella selezione delle piante adatte agli ambienti urbani e per l’attività dei vivai? Ne aveva parlato il prof. Francesco Ferrini nella sua relazione di apertura della conferenza, intitolata “Alberi per il futuro: il ruolo dei vivai per le sfide del cambiamento climatico”. Nel corso della quale ha messo in evidenza, fra l’altro, il ruolo cruciale dei vivai, con i loro cataloghi di specie e varietà di piante disponibili, sulle decisioni di architetti del paesaggio, consulenti e autorità pubbliche in merito agli alberi e piante da mettere a dimora.
Una sintesi dell’esposizione di Ferrini, che era corredata di schede botaniche e richiami alla letteratura in materia, la si trova in un testo pubblicato con lo stesso titolo della relazione nella sua pagina Facebook “Arboricoltura urbana”. Nel nuovo contesto, afferma Ferrini, «i vivai assumono un ruolo centrale nella transizione ecologica, rappresentando il punto di partenza per garantire la qualità, la diversità e la sostenibilità degli alberi piantati oggi per il futuro». In altri termini «i vivai non sono semplicemente fornitori di alberi, ma partner strategici nella costruzione di un futuro più sostenibile e resiliente».
Questo perché, come sottolineato da Ferrini, è nelle mani dei vivaisti «la selezione di specie e varietà arboree capaci di affrontare le sfide del cambiamento climatico» nelle città. Ad esempio, tenendo conto del fatto che certe «specie tradizionalmente piantate in contesti urbani, come il platano e il leccio, mostrano crescenti segni di vulnerabilità a stress idrici o a parassiti vecchi e nuovi» e quindi puntando a «diversificare il panorama arboreo introducendo specie meno comuni, ma più resilienti, che dimostrano maggiore tolleranza alle alte temperature e alla siccità».
«La diversità degli alberi nelle città – spiega infatti Ferrini - è un fattore chiave per ridurre la vulnerabilità degli spazi verdi a minacce come malattie e infestazioni». E, per esempio, «la diffusione del coleottero Agrilus planipennis, che ha ucciso miliardi di frassini in Nord America, ha evidenziato i rischi derivanti dalla dipendenza da un numero limitato di specie». «I vivai – dice Ferrini - possono svolgere un ruolo attivo nella promozione della biodiversità, offrendo una gamma più ampia di alberi e favorendo la coltivazione di specie autoctone o adattate ai contesti locali». Ciò non significa però rinunciare aprioristicamente a specie non autoctone, quando esistono specie alloctone in grado di raggiungere in determinati contesti un maggiore livello di servizi eco-sistemici. E, anzi, il prof. nel corso della relazione ha lanciato anche una frecciata alle sovrintendenze quando «anacronisticamente» impongono di ripiantare le stesse specie di alberi anche in quei luoghi in cui si sono dimostrate inadatte anche per effetto del cambiamento climatico.
«I vivai non sono e non devono essere solo luoghi di produzione, ma diventare centri di innovazione – è il messaggio di Ferrini -. Attraverso la collaborazione con università, centri di ricerca e amministrazioni pubbliche, possono contribuire allo sviluppo di nuove varietà arboree capaci di resistere a condizioni climatiche estreme». Ad esempio, attraverso «l’uso di tecnologie avanzate come la genomica vegetale per identificare tratti genetici che conferiscono resistenza a siccità o patogeni».
«Inoltre – mette in evidenza Ferrini - i vivai possono sperimentare tecniche di coltivazione sostenibili, come l'uso di substrati a basso impatto ambientale e sistemi di irrigazione efficienti. Questo non solo riduce l’impronta ecologica della produzione vivaistica, ma prepara gli alberi a condizioni di crescita più difficili una volta piantati in ambiente urbano».
Tuttavia, conclude Ferrini, «i costi legati alla ricerca e alla sperimentazione rappresentano un ostacolo per molte aziende vivaistiche. Per superare queste barriere, è fondamentale incentivare politiche pubbliche che promuovano la diversificazione delle specie arboree, ad esempio attraverso finanziamenti che permettano di investire in specie innovative o programmi di educazione pubblica per sensibilizzare cittadini e amministratori sui benefici della biodiversità».

L.S.