Simone Ciampoli: «siamo per un’olivicoltura tendenzialmente tradizionale»
Il direttore di Coldiretti Pistoia Ciampoli, al Crea-of di Pescia per illustrare un pif sull’olivicoltura, ha detto che «se si perde l’identità anche culturale e territoriale, si è perso tutto». Il piano, che intende aumentare il valore aggiunto dell’olio ma anche i livelli produttivi, è aperto a tutte le imprese della filiera. Si potrà partecipare anche con un investimento minimo ad azienda di 12 mila 500 euro, di cui 5 mila erogati dalla Regione.
Si intitola “EVO (Extra Vergine di Oliva): dal vivaio alla tavola” ed è un piano integrato di filiera (pif) con i seguenti obiettivi: mantenere le aziende olivicole sulle nostre colline, in funzione anche di tutela del paesaggio e idrogeologica; ristrutturare i vecchi oliveti e realizzarne di nuovi; introdurre nuove tecniche di coltivazione nel rispetto dell’ambiente e tracciabilità; aumentare il valore aggiunto dell’olio legato alla tracciabilità a partire dalla giovane pianta; migliorare gli standard di trasformazione.
Coldiretti Pistoia, che lo promuove in collaborazione con centri di ricerca quali Crea-of, Ivalsa-Cnr e le università di Firenze e della Tuscia, lo ha presentato oggi al Centro di ricerca di orticoltura e florovivaismo (Crea-of) di Pescia durante un incontro sul tema “Il vivaismo olivicolo tra norme e qualità: innovazione, qualificazione e competitività della filiera olivicola”. Questo «progetto monofiliera» parte dalla constatazione, da un lato, che l’olivicoltura toscana, spesso ubicata «in aree collinari e pedecollinari con elevate pendenze e presenza di ciglioni/terrazze» e dai costi di gestione elevati «sia per la coltivazione che per la raccolta», ha visto ridurre considerevolmente gli ettari coltivati dal 2000 al 2015. Ma, dall’altro, fa leva pure sulla consapevolezza della disponibilità del «maggior centro di produzione di giovani piante di olivo» (a Pescia), di un’ampia gamma varietale autoctona (oltre 80 varietà), di varietà certificate virus esenti e di un sistema di certificazione dell’olio Igp.
Vi potranno partecipare aziende vivaistiche, aziende agricole produttrici, impianti di trasformazione (frantoi), associazioni e reti aggregative, soggetti specializzati nel marketing e la comunicazione del prodotto. Insomma, come ha detto il direttore di Coldiretti Pistoia Simone Ciampoli durante l’incontro, «è un vero e proprio progetto integrato di filiera». Il bando non è ancora uscito, ma il contributo del pif, è stato spiegato, sarà tra un minimo di 150 mila euro e un massimo di 2 milioni e 250 mila euro. Dal punto di vista della singola impresa partecipante, come ci ha detto Michele Bellandi, il contributo minimo regionale sarà di 5 mila euro e pari al 40% dell’investimento, per cui quest’ultimo dovrà ammontare ad almeno 12 mila 500 euro. Si tratta di vedere adesso come risponderanno all’appello le imprese della filiera olivicolo-olearia del territorio pesciatino e più in generale pistoiese.
«E’ un piano integrato di filiera che Coldiretti propone – ha detto a Floraviva il direttore di Coldiretti Pistoia Ciampoli al termine dell’incontro - sulla scorta anche di una collaborazione ormai consolidata con gli enti di ricerca, Crea, Cnr, Università di Firenze ma anche della Tuscia: un gruppo di lavoro che si è già costituito in precedenza con l’esperienza di altri pif vivaistici e che ha dato buone risposte. Oggi per raccogliere un’esigenza che nasce principalmente dagli olivicoltori, proprio dai produttori di olive e di olio, si rende necessario creare questo pif, che ovviamente, parlando di filiera, inizia dalla parte vivaistica, dalla qualità della piantina di olivo, perché, come hanno detto anche i relatori nel convegno di questa mattina, è proprio dal vivaio che parte la qualità della produzione dell’olio. Per cui si educa in vivaio la pianta che poi sarà una buona produttrice di olive e conseguentemente di olio. Il pif è aperto a tutti gli olivicoltori interessati, Coldiretti e non solo…».
…avete già un capofila o ancora è presto?
«Lo stiamo discutendo. Saremo noi che seguiremo questo progetto, ma è solo un tecnicismo che poi valuteremo».
Ecco, prendendo spunto da questo progetto, ci può illustrare un po’ l’idea di olivicoltura che avete in mente?
«La nostra olivicoltura si basa esclusivamente sulla distintività. L’olivicoltura toscana non può essere altro che ancorata certamente a una base tradizionale, legata ai territori, al nostro ambiente, alle nostre colline, a quella che è l’immagine del made in Tuscany, che chiaramente dovrà essere qualificata anche con il supporto del miglioramento delle tecniche di coltivazione che la scienza ci offre, ma che comunque si dovrà porre come obiettivo un alto standard qualitativo. E questo si ottiene lavorando bene con le varietà autoctone ben tenute. Bisogna anche pensare ad aumentare la produzione, perché uno dei grossi problemi che noi abbiamo è quello di crescere in termini di livelli produttivi. La Toscana ha una grande richiesta di olio, di olio toscano, che però spesso e volentieri non riesce a soddisfare. E allora si innescano tutte quelle vicende che possono essere legate alle imitazioni, all’Italian sounding o alle piraterie, se non di peggio».
Dunque mi par di capire che la qualità per voi non sia scontata e vada perseguita, ma questo si può fare anche con impianti un po’ più intensivi oppure no? Quale è la vostra posizione nel merito?
«Noi siamo per un’olivicoltura tendenzialmente tradizionale, perché comunque olio toscano vuol dire anche salvaguardia di un territorio e di un paesaggio toscano. Se noi si perde l’identità anche culturale e territoriale, si è perso tutto».
Quindi volete che si produca anche a costi magari un po’ più alti vendendo però a prezzi maggiori, questo è il vostro modello?
«Sicuramente è quello. Anche perché la sfida dei costi di produzione per l’Italia è perdente in ogni caso, quindi bisogna unire questo valore della qualità dell’olio - che per l’amor di Dio allo stato attuale c’è, ma è sempre migliorabile e incrementabile - a una qualità che è data anche dai territori che lo esprimono. Non a caso si ricerca l’olio toscano dop o igp, perché non è che si vende esclusivamente il sapore di quell’olio, ma si vende anche il territorio che c’è dietro, l’immagine per il cliente-consumatore che vuole olio toscano perché pensa all’immagine della Toscana. Noi questo dobbiamo salvaguardarlo, perché c’è anche un valore ambientale e di tutela dei territori in questo percorso».
Lorenzo Sandiford