Cannillo (CSI): «certezze legali produttive e passaporto per i prodotti della canapa»
Intervista a Vito Cannillo, imprenditore pugliese della filiera canapicola socio di Canapa Sativa Italia, che parla delle sue attività nel settore in America e dice che cosa servirebbe ai canapicoltori italiani. Quali mosse si attende dal Tavolo della canapa del Mipaaf come prioritarie? «Certezze sul fronte dei parametri da rispettare a livello produttivo», soprattutto «per far lavorare in “sicurezza” i medio-piccoli imprenditori», e una certificazione simile alla Global G.A.P. con «passaporto di qualità spendibile sul mercato».
Alla vigilia dell’importante webinar dell’Accademia dei Georgofili – sezione Centro Ovest e della Fondazione Istituto Scienze della Salute sul tema “La canapa: l’attualità di una pianta di grande tradizione colturale”, in cui si farà il punto della situazione del comparto in Italia (vedi), Floraviva ospita l’intervista con un attore della filiera canapicola che è socio di Canapa Sativa Italia (CSI) e conosce molto bene anche quanto succede oltreoceano, in America. Si chiama Vito Cannillo ed è un imprenditore under 40 che lavora a Corato (Bari), che qui ci parla anche della sua esperienza in Forza Vitale, azienda fondata da suo padre, e delle nuove start-up da lui fondate in Giamaica per partecipare all’espansione del mercato nord-americano.
Se abbiamo ben capito, la sua azienda opera nel settore officinale e degli integratori alimentari: nonostante utilizzi ed elabori tantissimi ingredienti naturali e piante, lei considera la canapa l'oro verde di questo millennio. Come mai e non esagera un po’?
«Guardi non sono io a definire la canapa come il nuovo “oro verde” ma fior fior di esperti internazionali: economisti e uomini di finanza che sottolineano l'enorme impatto del “comparto canapa” su un nuovo boom imprenditoriale e occupazionale, sostenibile e duraturo».
E cosa prova a dover operare tra le tante lacune normative e conoscitive italiane sulla canapa?
«Da imprenditore e da cittadino non riesco a capacitarmi di come non si tenga conto di questa opportunità in nome di pregiudizi, ignoranza e, chissà, forse anche di consolidati interessi da tutelare. L'interrogativo sorge spontaneo. Viviamo una fase di depressione economica senza precedenti e ci permettiamo il lusso di non cambiare idea, di non aprirci a un nuovo modo di pensare. Aggiungiamoci i problemi legati allo stallo della giustizia a cui contribuiscono anche certe logiche proibizioniste. Aggiungiamo poi, e lo dico in modo retorico, anche i benefici sul fronte del benessere propri di questo comparto… e lo sgomento, ahimè, aumenta».
Che cosa lo ha spinto a diventare socio di Canapa Sativa Italia (CSI) e che cosa spera che il tavolo di filiera insediato al MIPAAF faccia come prima mossa per sostenere il settore canapicolo industriale italiano?
«Aderire a CSI è ciò che dovrebbe fare chiunque crede nel “comparto canapa” e ha voglia di sfruttarne tutte le opportunità, non tanto come singolo imprenditore ma come parte di una regia più ampia. Il ruolo di CSI è fondamentale infatti per parlare con una voce sola e fare lobby nell'accezione usata negli Stati Uniti, paese in cui sono nato e che si sta dimostrando molto avanti su questo fronte! Bisogna dunque essere capaci di fare lobby in maniera trasparente e autorevole per innescare quella che potrebbe essere una vera rivoluzione “verde”».
La sua esperienza è interessante anche perché ha avviato e sostiene molti progetti oltreoceano (in Giamaica) dove insieme ad università, agricoltori e altri partner di comunità fate produzione e lavorazione estrattiva di infiorescenze di cannabis a basso tenore di THC o CBD. Che cosa manca alle regioni italiane per avviare simili attività?
«Non vorrei passare per campanilista, perché proprio non lo sono, ma mi sento di poter candidare la Puglia come luogo ideale per avviare seriamente la genesi di questo comparto in Italia. Viviamo grazie a Dio nell'epoca della globalizzazione e tutto e tutti siamo interconnessi. Ancora una volta a tale proposito mi chiedo come faccia il nostro Paese ad essere sordo rispetto a quanto stanno facendo nel resto del mondo sul versante delle liberalizzazioni che, si badi bene, lo ribadirò fino alla noia, non vogliono dire “sballo libero” ma molto altro: impresa, ricerca, lavoro, benessere, sostenibilità ambientale, economia».
La vostra joint venture giamaicana CITIVA copre tutti i prodotti che vengono consumati (legalmente) in un mercato maturo come quello nord-americano, utilizzando la tecnica di estrazione a quattro camere che è una delle frontiere più nuove dell'uso della cannabis perché garantisce bassi sprechi di materia e i risultati più puri. Cosa manca all'Italia per coprire almeno questo comparto, non solo in ambito THC ma soprattutto CBD, sul modello della Giamaica dove producete una linea di oli e creme a base di CBD?
«L'ho anticipato nelle risposte precedenti: siamo privi di visione, aggiungerei “visione laica e strategica” che è poi propedeutica alla ratio legislativa. Qui siamo ancora fermi a categorie vecchie che tengono di fatto il Paese ingessato. Eppure vorrei essere ottimista perché non ci manca nulla: centri di ricerca, menti eccellenti, capacità imprenditoriale nel nostro DNA! In Italia non ci manca neppure una vasta e significativa esperienza nel comparto erboristico fatta di valenti professionisti. Potremmo benissimo sfruttare questo know how e il quadro normativo che lo accompagna per non perdere altro tempo e disciplinare velocemente alcuni usi consentiti per la canapa snellendo in partenza procedure e meccanismi. CITIVA da questo punto di vista, con l'esperienza tecnico-pratica d'oltreoceano è un grande serbatoio di risorse di cui far tesoro».
In generale che futuro vede per la cosmesi legata alla canapa?
«Le prospettive sono interessanti, anche se parlando dell’Italia come sempre arriviamo per ultimi. Le star di Hollywood, per tornare alla mia amata America, usano da anni prodotti cosmetici a base di CBD e credo che lo facciano perché ben consigliati da gente che ne capisce (medici, farmacisti, cosmetologi). I benefici sono comprovati su tanti piani (contrasto all'ossidazione della cute, proprietà antinfiammatorie, lenitive). Ora bisogna solo essere bravi a comunicare bene e a convincere chi siede nella stanza dei bottoni che questo è un altro settore colmo di opportunità. Alcuni segnali positivi, sempre per non perdere mai la via dell'ottimismo, ci sono già. Penso alla recente possibilità di utilizzare nella formulazione dei cosmetici il cannabidiolo estratto da infiorescenza e non solo quello ottenuto da procedure di sintesi».
Quali altri progetti di ricerca le sue aziende sostengono sia sul fronte nutraceutico che sull'estrattivo e sul fitodepurativo? La Canapa Industriale ha poteri disinquinanti ad ampio spettro, anche rispetto ai metalli pesanti presenti nell’Ex-Ilva di Taranto, non è vero?
«Negli ultimi mesi in azienda abbiamo lavorato molto sulla ricerca legata alle nanotecnologie in ambito nutraceutico. Al nostro interno possiamo vantare un laboratorio indipendente ben equipaggiato che gode dell'apporto quotidiano di tanti studenti universitari validissimi che scendono in Puglia per la tesi in farmacia, biologia o tecniche erboristiche. Nell'ulteriore sviluppo delle nanotecnologie vediamo un vettore insostituibile per l'industria del domani, vincente, competitiva, sostenibile. Se poi mi parla dell'Ex-Ilva e della possibile riconversione dell'area sul fronte canapa, beh, m'invita a nozze, in primis per il motivo che ha citato legato al potere disinquinante di questa pianta e poi per una nuova filiera economica che si potrebbe creare. A volte da giovane imprenditore non ancora quarantenne mi chiedo, lo ridico, come sia possibile nemmeno avviare una discussione seria e ragionata su queste possibilità. Io non smetto di crederci».
Concludendo, una domanda posta all’inizio: tenendo conto anche di tutte queste esperienze internazionali di cui ci ha parlato, quali mosse si aspetta dal tavolo di filiera della canapa italiano? Nei giorni scorsi sono state diffuse le proposte di CSI (vedi) e di Federcanapa (vedi): c'è una o più proposte concrete a cui tiene particolarmente in questo momento per sviluppare il comparto in Italia?
«Tutte le proposte fatte in seno a CSI vanno nella direzione giusta. Io sottolineerei però in particolare quella relativa al chiarimento della cornice normativa e all'eliminazione delle zone di rischio per gli imprenditori. Vedo questo punto come propedeutico a tutto. Il settore della canapa sativa per nascere e svilupparsi ha bisogno di regole certe, chiare e trasparenti. Detta semplice: non facciamo morire di burocrazia anche questo comparto! Il rischio è sottrarlo a chi non ha mezzi e tempo per gestire carte su carte, temendo magari di incorrere in errori e sanzioni. Penso specificatamente ai piccoli agricoltori e produttori. Se impediamo loro di lavorare in tranquillità, il comparto finirà inevitabilmente solo nelle gestioni dei big players che lo monopolizzeranno adattandolo alle loro esclusive necessità. Ne consegue una necessaria semplificazione e certezza sul fronte dei parametri da rispettare a livello produttivo, sempre per far lavorare in “sicurezza” i medio-piccoli imprenditori. Prevedere subito ad esempio per il settore criteri simili o prossimi a quelli richiesti dalla certificazione Global G.A.P. in modo da dare a chi lavora correttamente, un passaporto di qualità certo e spendibile sul mercato. Facciamo in modo insomma che il sacrosanto controllo della parte pubblica, non intralci lavoro, sviluppo ed economia».
Redazione