Sulle tracce storiche dell’attività venatoria nei giardini della Toscana
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Intervista all’architetto Giorgio Galletti dopo il suo intervento sulle “Cacce nei parchi medicei” al ciclo di conferenze organizzate al Teatro del Rondò di Bacco di Firenze dall’Associazione “Per Boboli”. Orme di ragnaie alle Cascine di Poggio a Caiano e nei giardini di Boboli, Villa la Quiete, Certosa di Pontignano, Villa di Geggiano, Villa il Casale, Villa di Sestano. Più diffusi gli uccellari, a cominciare dai celebri cipressi di San Quirico d’Orcia. Da Galletti un chiarimento storico su pareggiate e arte topiaria.
Nell’ambito del ciclo di incontri organizzati dall’Associazione “Per Boboli” al Teatro del Rondò di Bacco in piazza Pitti a Firenze, ieri l’architetto Giorgio Galletti ha tenuto una conferenza sul tema “Le cacce nei parchi medicei”. Un’occasione, come ha spiegato introducendo la relazione di Galletti Eleonora Pecchioli, presidente dell’associazione organizzatrice dell’appuntamento, per rimeditare sull’impatto delle pratiche venatorie in certe fasi dell’evoluzione dell’architettura dei giardini. Impatto che si è fatto sentire, ha ricordato Eleonora Pecchioli, anche nel Giardino di Boboli.
Fra le strutture venatorie su cui l’architetto Galletti si è soffermato con più dovizia di riferimenti, citazioni di fonti ed esemplificazioni, dopo aver illustrato le varie funzioni della caccia nel Medioevo e nel Rinascimento, vi sono senz’altro le ragnaie. Vale a dire dei boschetti fitti di alberi tra i quali venivano stese le reti per la cattura degli uccelli. Diversamente dall’uccellare, di cui pure ha parlato Galletti e che era costituito solitamente da una radura in una macchia boscosa, la ragnaia aveva un andamento lineare e molto spesso era posizionata accanto a un piccolo corso d’acqua che attirava i volatili. La natura delle ragnaie non è sempre ben compresa. Esse, come hanno sottolineato sia Pecchioli sia più estesamente Galletti, hanno anche una forte valenza ornamentale: all’insegna della triade vitruviana firmitas, utilitas, venustas (solidità, funzionalità, qualità estetica).
«Giovanni Antonio Popoleschi nel suo trattato La Ragnaia (risalente a circa la metà del XVI sec.) – ha detto a Floraviva l’architetto Galletti dopo la conclusione della sua conferenza - scrive: “la ragnaia, per mia oppinione è una delle più belle e migliori commodità che possa avere una possessione di qual si voglia gentiluomo, avvengachè questa, oltre al far bella vista e ornamento alla villa tua, se è posta in luogo accomodato, ti tiene, oltre al piacere che dura molti mesi dell’anno, la casa abbondante tutto il tempo che si uccella”». E si trovano diverse citazioni di questo genere nella letteratura quattrocentesca e cinquecentesca, a cominciare da un passo di Machiavelli riferito da Galletti durante la sua relazione. «Quindi – come sintetizza lui - la ragnaia è un locus amoenus e ornamento per il giardino, non solo luogo di caccia».
Che ruolo hanno (avuto) e quanto pesano le ragnaie nel disegno complessivo del Giardino di Boboli?
«Nel giardino di Boboli ne sono rimaste solo pochissime, dopo i tentativi ottocenteschi di trasformare il giardino in stile all’inglese. Se guardiamo invece la planimetria di Michele Gori (1709) e quelle di epoca lorenese si nota che esse occupavano tutto il lato sud lungo le mura della Pace, lo spazio fra l’imbocco del viale dei Cipressi e l’Isola (ora in gran parte distrutte per l’apertura del vale dei platani in epoca napoleonica e la trasformazione in boschetti con viali in curva). Il Soldini (Il Reale Giardino di Boboli, 1789) scrive in proposito: “terminato il filare dei cipressi, sentesi ricreare la vista al mirare una folta Ragnaia, che forma come una continuata muraglia a disegno…”. Un’altra ragnaia era al margine del perduto labirinto nord, sotto il giardino Botanico di Sopra. L’Anfiteatro secentesco era delimitato da ragnaie. Quindi nella redazione secentesca le ragnaie caratterizzavano in modo inequivocabile il Giardino di Boboli barocco».
La ragnaia e altri portati della caccia così come praticata nel Medioevo e nel Rinascimento in che misura hanno inciso nel paesaggio toscano? Cosa resta oggi?
«Oggi le ragnaie sono praticamente scomparse, salvo rari casi di giardini storici. Sussiste la traccia del Ragnaione delle Cascine di Poggio a Caiano (dette impropriamente di Tavola). Si sono conservate tracce di ragnaie a Boboli, nel Giardino di Villa la Quiete (per ora non visitabile), nel giardino della Certosa di Pontignano (vicino a Siena, visitabile) nel giardino della Villa di Geggiano (a Castelnuovo Berardenga, visitabile con permesso), nel giardino della Villa il Casale (a Sesto Fiorentino, non visitabile) e, pressoché integrale, nel giardino della Villa di Sestano (sempre a Castelnuovo Berardenga, forse visitabile con permesso). Sicuramente ne esistono altre, che io non conosco. La parola ragnaia ricorre invece in molti toponimi. Quindi erano diffuse sul territorio, ma oggi non sono più distinguili o perdute. Si possono invece riconoscere uccellari o roccoli sparsi nella campagna toscana, dal momento che sono caratterizzati da un boschetto isolato. Famoso è quello di cipressi presso San Quirico d’Orcia. Altri uccellari: Castelnuovo Tancredi (Buonconvento), Villa di Celsa (Siena, solo tracce), Borgo Scopeto (Castelnuovo Berardenga, integro), piccoli roccoli nei dintorni di Firenze».
Nella relazione ha citato numerose varietà vegetali utilizzate per le ragnaie, ci può ricordare le principali?
«Sebbene i trattati indichino numerose varietà, le ragnaie di Boboli, quella della Quiete e quella di Sestano sono composte da leccio nella parte alta e da arbusti sempreverdi nella parte bassa (lentaggine, alloro, fillirea, alaterno, lentisco). Nell’Italia settentrionale le strutture per l’uccellagione sono composte prevalentemente di carpino».
Per finire, una curiosità: che relazione c’è, se c’è, fra le tecniche di pareggiamento delle piante delle ragnaie di cui ha parlato e l’arte topiaria in cui oggi i vivaisti pistoiesi eccellono a livello internazionale?
«La pareggiata (orizzontale e verticale) è per me all’origine della palissade dei giardini francesi. Maria de’ Medici riprese il modello di Boboli per il Giardino del Lussemburgo. In realtà l’arte topiaria è di origini antichissime e si riferisce a forme che imitano figure. Certamente l’esperienza del dominare la pianta e mantenerla in forma può essere connessa con la tradizione topiaria. La struttura formale dei giardini rinascimentali e barocchi ha le sue radici in tradizioni di taglio e di governo assai consolidate. Purtroppo questa tradizione fu notevolmente alterata nel dopoguerra con l’introduzione della motosega che comportato danni vastissimi soprattutto ai lecci, come nel caso di Boboli o di Villa Medici a Roma. I giardinieri pistoiesi sicuramente hanno saputo mantenere molte tecniche tradizionali che non hanno a che vedere con la capitozzatura».
Lorenzo Sandiford