Alberi di Natale in crisi? In Valleriana c’è chi è andato bene
-
in Vis-à-vis
A colloquio sul mercato degli alberi di Natale con Alfio Marchini, produttore di abeti di Castelvecchio in Valleriana (comune di Pescia), che ha registrato un +5% circa di vendite sul 2011 con le sue piante di Abies nordmanniana. Il sistema irriguo ha fatto superare la siccità senza danni al suo vivaio. I “nemici” numeri uno, a suo parere, non sono gli abeti dell’est europeo, ma quelli di plastica.
Anno difficile per i produttori di abeti natalizi toscani, un comparto del vivaismo che vale circa 600 ettari secondo Coldiretti. Già a fine estate si è dovuto fare i conti con i danni della siccità, che ha colpito soprattutto l’area del Casentino, il principale centro di produzione di alberi di Natale con circa 1 milione e mezzo di piante in coltivazione e 300 mila commercializzate per un volume d’affari di 2 milioni. Assai meno colpita, ma non del tutto esente da danni l’area della provincia pistoiese. Poi sono arrivati nelle settimane recenti dati negativi sulle vendite, tant’è che un articolo della Nazione Pistoia del 9 dicembre parlava apertamente di «crisi», citando un dato nazionale di Coldiretti: -27% di spesa per questa voce degli acquisti natalizi e -16% gli alberi veri acquistati (sostituiti da quelli di plastica), con il resto del calo della spesa causato dalla scelta di alberi più piccoli o magari dai concorrenti più economici provenienti da Ungheria e Romania.
Ma sulle colline della Valleriana, nel territorio comunale di Pescia, c’è anche chi se l’è passata in maniera assai migliore, come il produttore di abeti di Castelvecchio (una delle Castella della cosiddetta Svizzera Pesciatina) Alfio Marchini, che da circa un anno e mezzo è il titolare del vivaio Marchiniabeti fondato nel 1958 da suo padre Renzo, fra i primi in Italia a coltivare alberi di Natale. Alfio, che lavora ormai da diverso tempo nell’azienda familiare e oltre 10 anni fa ha riconvertito la gran parte dei terreni (tra i 4 e i 5 ettari in tutto) dalla produzione di abete rosso a quella di Abies nordmanniana (abete del Caucaso), alla domanda su come è andata la stagione - che per lui che vende per il 95% ai garden center si è già conclusa anche prima del giorno dell’Immacolata Concezione – ci ha risposto così: «nel 2012 c’è stato un aumento esponenziale della domanda per me e non ho potuto soddisfarla. Mi riferisco agli abeti rossi che quest’anno mancavano a causa della siccità: avrei potuto venderne un 50% in più, se ne avessi avuti a disposizione». Mentre per gli abeti caucasici - la sua specialità, che vale l’80% della produzione - fa sapere di avere avuto un aumento delle vendite di circa il 5% sul 2011».
Qual è il segreto del buon andamento di questo vivaio?
Intanto lui non ha subito danni per la mancanza di acqua in estate. «Qualche perdita per la siccità anche nella montagna pistoiese c’è stata – dice - ma da me limitatamente, perché ho quasi tutti i terreni irrigati».
Ma soprattutto, evidentemente, la riconversione agli alberi di Natale della specie Abies nordmanniana, che ha il suo maggior centro di coltivazione in Danimarca, si è rivelata una giusta intuizione, «in quanto, anche se hanno un ciclo produttivo più lungo, sono indubbiamente più decorativi e più resistenti alla perdita degli aghi (anche se tagliati) e alla fine sono stato ripagato da questa scelta perché il mercato ha iniziato a preferirli». Si tratta, precisa Marchini, di «una specie di abete bianco più pregiata, che spunta prezzi di mercato diversi» rispetto al «classico abete rosso, che è il più usato e conosciuto, e pari a circa il 90% della produzione del Casentino».
Lungi però dal Marchini mettersi in contrapposizione con i produttori del Casentino e sentirsi in concorrenza con loro. «Abbiamo sbocchi diversi: loro per tre quarti vendono alla gdo (la grande distribuzione, ndr) e a prezzi diversi dai miei. Noi non abbiamo i numeri per la grande distribuzione, e il mio obiettivo è quello di offrire piante di pregio e di qualità superiore». Cosa che Marchiniabeti riesce a fare grazie ad un’organizzazione di vendita che consente di consegnare in tutta Italia anche piccole quantità. A prezzi diversi naturalmente. Mentre Coldiretti Toscana in un comunicato del 10 dicembre scorso riferiva che l’abete rosso nella versione «civetta», cioè alto 160 cm con radici e pane di terra, «viene pagato 8 euro ai produttori e dovrebbe salire a 10-15 euro a livello di grande distribuzione e 20-45 euro nei fiorai e nei “garden”», ecco i prezzi indicati a titolo esemplificativo da Marchini: per un abete rosso da 180 cm di prima scelta venduto in zolla all’ingrosso prende dai 13 ai 16 euro, per un abete caucasico di prima scelta tra 120 cm e 180 cm 20-25 euro, e oltre 30 euro se superiore ai 2 metri. E al cronista che chiede un parere sul lavoro di etichettatura trasparente degli abeti portato avanti dal Consorzio per la valorizzazione dell’albero di Natale del Casentino, risponde così: «il Consorzio ha fatto una bella opera di promozione dell’abete, soprattutto per contrastare l’uso dell’abete di plastica, con studi precisi sull’impatto ambientale di questi ultimi».
Sono infatti gli abeti di plastica i “nemici” numeri uno secondo Alfio Marchini. E’ ovviamente consapevole anche della concorrenza degli abeti provenienti dall’Europa dell’Est: «negli ultimi 4/5 anni in Ungheria e Romania, dove hanno grandi estensioni a disposizione – commenta – ci sono diverse società che esportano soprattutto abete rosso a prezzi concorrenziali (10-20% in meno che da noi). Anche se la qualità è a volte discutibile, ma soprattutto la preparazione della pianta per la vendita non è per lo più a regola d’arte. Ma, va detto, hanno pure sopperito al calo produttivo italiano, che c’è stato anche a prescindere dalla siccità a causa di una diminuzione degli investimenti produttivi».
Ma il problema vero è la concorrenza degli abeti di plastica, secondo Marchini. Primo, «perché inquinano». E a questo proposito ricorda che, sì, è vero che «gli abeti caucasici non sono coltivati per essere perpetuati a fini forestali o da giardino (come accade del resto per le stelle di Natale ad esempio)». Però, «a differenza degli alberi di plastica, che sono inquinanti generando anidride carbonica nella fase produttiva e diossine al momento dello smaltimento, le piante vere rilasciano ossigeno per tutto il ciclo produttivo e quando si smonta l’albero di Natale vanno a finire nella raccolta differenziata o possono essere compostate o bruciate nel camino, per cui rientrano nel normale ciclo biologico». Secondo, «perché possono avere una durata di 10-15 anni e di conseguenza per un tale periodo il consumatore non acquista alberi di Natale veri, mentre chi compra la pianta est europea oggi può tornare in futuro a comprare quella italiana».
Lorenzo Sandiford