Piccini (OTA) sulle specificità e prospettive dell’olivicoltura toscana

Piccini (OTA) sulle specificità e prospettive dell’olivicoltura toscana

Il punto di vista sul comparto di Sandro Piccini (OTA), intervistato dopo il suo intervento quale esperto della filiera dell’olio evo alla tavola rotonda sullo sviluppo delle filiere della Conferenza regionale dell’agricoltura. La scelta della filiera olivicola toscana di OL.MA. e OTA di puntare solo sull’Igp Toscano: al momento 17 mila quintali di olio. Le esigenze delle tre principali olivicolture toscane (di paesaggio, intensiva con oli toscani, collinare) e in generale la necessità di investimenti in nuovi oliveti (dotati di irrigazione o con piante più resistenti alla siccità) ma anche di ammodernare e rendere più eco-compatibili i frantoi.

I tre tipi di olivicoltura prevalenti in Toscana che richiedono risposte differenti, le specificità della filiera olivicola costituita nella nostra regione dalle cooperative olivicole e in particolare da due op (organizzazioni di produttori) quali il Collegio Toscano degli Olivicoltori (OL.MA.) e Olivicoltori Toscani Associati (OTA), i progetti e le aspettative per il futuro dell’olivicoltura in regione e a livello nazionale, contando anche sui bandi del Pnrr.
Questi i temi toccati da Sandro Piccini, presidente di OTA, alla tavola rotonda “Le produzioni agricole della Toscana e lo sviluppo delle filiere” in occasione della Quarta Conferenza regionale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, tenutasi a Firenze il 21 e 22 giugno. Una tavola rotonda a cui Piccini è stato chiamato a parlare in qualità di esperto della filiera dell’olio di oliva extravergine, accanto ad altri esperti di altre filiere (vedi), e durante la quale sono stati riassunti, prima del suo intervento, alcuni dati del comparto olivicolo toscano: oltre 91 mila ettari di oliveti e più di 15 milioni di piante per quasi 37 mila aziende; il ruolo importante degli oli evo a denominazione di origine, con 4 Dop (Chianti Classico, Lucca, Seggiano, Terre di Siena) e 1 Igp (Toscano) che nel 2021 secondo Ismea/Qualivita hanno realizzato un fatturato alla produzione di 29,3 milioni, in grado di generare un export pari a 42 milioni di euro, per il 75% realizzato fuori dall’Unione Europea.
Abbiamo sentito Sandro Piccini subito dopo la fine della tavola rotonda cercando di approfondire alcuni dei punti toccati nel suo intervento. A partire da quanto ha detto a proposito della filiera olivicola di cui fa parte (ai piani alti) in quanto presidente di OTA. Vale a dire che si tratta di una filiera vera e propria, capace di controllare i 17 mila quintali di olio prodotti dalla fase di coltivazione degli olivi alla commercializzazione, e che ha deciso di puntare esclusivamente sull’Olio Toscano Igp, anche per distinguersi meglio dall’olio confezionato nella nostra regione dalle grandi industrie olearie. 
Mi può spiegare meglio quali sono le caratteristiche principali di questa filiera olivicola toscana e che cosa la contraddistingue?
«Le caratteristiche principali rispetto al resto d’Italia sono, primo, che ha puntato esclusivamente sul carattere territoriale, cioè commercializza esclusivamente Olio Toscano Igp, non c’è nulla in aggiunta ad esso. Questo perché ci siamo resi conto che l’olivicoltura toscana si deve differenziare rispetto alla grande tradizione di agroindustria di grandi famiglie che hanno fatto del commercio dell’olio in Toscana il loro punto forte. Spesso si sente dire: i toscani vengono a comprare l’olio in Puglia. Ma sono le industrie toscane che vanno a comprare l’olio in Puglia. I nostri produttori hanno una loro qualifica, una loro tracciabilità assolutamente certificata che gli permette di dire che dentro questa filiera ci sta solo olio toscano».
Quindi questa è la vostra specificità?
«Sì e si tratta di un’aggregazione di realtà anche lontanissime dal punto di vista sindacale. Questa è una filiera unitaria in cui stanno insieme le due OP OL.MA. e OTA e attraverso la quale transitano 17 mila quintali di olio, che è una quantità enorme, se ci pensiamo, perché rappresenta il 70% dell’Olio Toscano Igp, che viene venduto nel mondo».
Pertanto non siete solo voi a produrre Olio Toscano Igp…
«No, no, questa è l’unica filiera toscana in mano ai produttori. Poi ci sono industrie che fanno Olio Toscano Igp acquistandolo dai produttori toscani e ci sono tante piccole e medie aziende».
E ci sono altri aspetti caratterizzanti?
«Un secondo aspetto che caratterizza questa filiera è che i produttori controllano, o in maggioranza o nella totalità delle azioni, le srl che fanno la commercializzazione. E questo è l’unico caso. In generale, quando si ragiona di filiera, si ragiona di produzione, di OP o cooperative, che mettono insieme la produzione e che poi si rapportano con il mercato. In questo caso il mercato è “di proprietà” dei produttori».
Dunque queste sono le due peculiarità della vostra filiera…
«… c’è una terza caratteristica importante, secondo me, ed è che nessuno mette bocca nell’attività dell’altro. Malgrado le commerciali siano proprietà dei produttori, gli viene dato il compito ma poi sono loro a portarlo avanti da sole, senza intromissione degli altri segmenti della filiera».
Questa è la descrizione strutturale della filiera. Che cosa va fatto per migliorare l’olivicoltura regionale?
«Come dicevo nell’intervento, per rispondere bisogna partire dalla questione delle varie olivicolture che esistono in Toscana, perché non si può parlare di una olivicoltura».
Quali sono queste olivicolture?
«C’è una olivicoltura di paesaggio, di mantenimento del territorio, che ha necessità di avere alcune risposte. Che non possono venire dal mercato, perché lì c’è la difficoltà della produzione e quindi gli alti costi richiedono un intervento per mantenere queste persone lassù, perché se no via via che scompaiono i vecchi agricoltori si crea un problema di mantenimento del territorio e quando piove viene giù tutto. Questo è un tema».
E poi?
«Poi ci sono altri due tipi di olivicoltura (semplificando, perché si potrebbe stratificare ulteriormente l’analisi). Una parte di Toscana che guarda più la costa, costituita dalle aree più produttive dal punto di vista dell’olivicoltura, dove si stanno facendo investimenti. Hanno problemi, ma stanno facendo investimenti e credendo nell’olivicoltura…»
…lì si fa intensivo spesso…
«… intensivo, non super intensivo. Non sto parlando infatti qui di un ulteriore tipo di olivicoltura che sta sorgendo: quelle aziende, per lo più non toscane, che stanno facendo super intensivo con varietà spagnole. Che è un errore clamoroso per l’olivicoltura toscana. Cioè che fanno un ragionamento produttivo, per cui si mettono in concorrenza con l’olio spagnolo o l’olio tunisino o l’olio marocchino e ne fanno quanto loro. Hanno grande produzione, ma non è olio toscano. È olio spagnolo fatto in Toscana. Non parlo di questa ulteriore categoria»
Quindi la seconda categoria è la produzione intensiva, per lo più sulla costa, di olio toscano. E la terza?
«L’olivicoltura in aree collinari: con l’attuale mercato per l’Igp toscano, essa non ha la redditività giusta, non gli basta. È una via di mezzo fra quella di paesaggio e quella della costa. Si pensi ad esempio all’area collinare del Chianti. Su questa olivicoltura bisogna investirci. Bisogna far capire ai produttori che qui l’olivicoltura può dare reddito, ma con un approccio diverso rispetto a quella della costa, che ha una produttività maggiore e costi più bassi».
Con quale approccio? Entrando in una filiera come la vostra? Ma non ne fanno già parte diverse aziende dell’area collinare?
«Assolutamente sì, e noi riusciamo a garantire 50/60 centesimi in più del prezzo di mercato all’ingrosso in questa filiera qui. Ma in questo caso non è sufficiente. Noi sono anni che diamo 9 euro al chilo, ma non basta. Mentre dall’altra parte ci possono rientrare, se hanno un tipo di coltivazione diversa, qui hanno difficoltà».
E allora che cosa intende con investimenti e approccio diverso? Quale è la soluzione?
«Una risposta può essere il progetto di filiera multiregionale, a cui ho fatto cenno nell’intervento, che abbiamo presentato nell’ambito del bando del Pnrr e che è stato ammesso (e speriamo ci venga finanziato), dove c’è un grosso investimento nei nuovi oliveti, nella rimessa a posto e innovazione tecnologica dei frantoi, ma anche nella commercializzazione, cioè nella promozione e nel far capire che dietro la Toscana c’è anche una stratificazione di aree e di zone diverse. È un progetto che mette insieme Umbria, Toscana, Lazio e Veneto e che si basa sulla centralità delle varie Igp e Dop dei territori e punta su prodotti di fascia medio-alta».
Passando ai bandi e alle misure utili che si stanno realizzando per sostenere la filiera, si è parlato ieri dei 100 mln del Pnrr per i frantoi, di cui in Toscana oltre 8 milioni: che ne pensa?
«Sì, in Toscana sono 8 milioni che dovrebbero uscire a luglio, con bando regionale. È un bando che serve all’innovazione. Noi abbiamo 400 frantoi nella Regione Toscana. Molti sono aziendali. Secondo me i frantoi sono sottovalutati dentro la filiera, mentre invece io credo che abbiano importanza».
Ma in che condizione sono i frantoi? Sono da rinnovare?
«Sì, sono da rinnovare, soprattutto dal punto di vista ambientale. Molti sono a tre fasi, per cui bisogna portarli a due fasi. Noi per esempio abbiamo un nuovo frantoio a Cerbaia a 2 fasi: non c’è l’aggiunta di acqua e non spargiamo nulla sul terreno. Abbiamo una specie di polpa di sansa che va ai biodigestori e quindi il ciclo si chiude: non c’è alcun tipo di residuo e non c’è consumo d’acqua. Viene fuori la polpa di sansa, il nocciolino e l’olio. Nulla va buttato della lavorazione e questo è un obiettivo per quanto riguarda il Pnrr».
Altre misure nazionali in cui il comparto olivicolo confida?
«Si sta lavorando al nuovo piano olivicolo nazionale. Abbiamo bisogno soprattutto di risorse per rifare gli impianti. Perché dobbiamo dimostrare che l’olivicoltura può avere un reddito e lo può avere o con meno costi o con più entrate. All’aumento delle entrate ci dobbiamo pensare noi operatori della filiera. Questo è un compito nostro: di noi come filiera o anche delle aziende da sole, che hanno varie scelte, fra cui ad esempio i mono varietali ecc. C’è un mondo in Toscana di aziende che si pongono sul mercato puntando sulla qualità in maniera importante. La filiera e le aziende devono dare una risposta sul reddito, quindi sul prezzo. Ma dall’altro lato vanno anche diminuiti i costi di produzione, perché altrimenti le zone collinari non hanno futuro nell’olivicoltura. Quindi ci vogliono nuovi impianti, varietà autoctone…»
… sono i nuovi impianti uno dei mezzi per abbattere i costi di produzione?
«Assolutamente. E puntando anche su irrigazione dove è possibile oppure su piante che resistono alla siccità, perché i cambiamenti climatici sono all’ordine del giorno e nelle nostre zone c’è poca acqua».
Quindi nel piano olivicolo vi interessano sostegni a nuovi impianti olivicoli (nuove piante) che abbiano più resa?
«Che abbiano più resa, meno costi e magari anche resistenza alla siccità. E per quanto riguarda il settore vivaistico in Toscana bisogna lavorare in questo senso, perché il futuro è questo qua».

L.S.