Olivicoltura: più Dop e Igp, ma Cia vuole anche più olio in generale
Luca Sani e Luca Brunelli sono per insistere sulle certificazioni e approcciare l’olio come il vino, perché l’olio è un prodotto di grande prestigio e lo conferma il proliferare di corsi di degustazione. Per Sani bisogna puntare solo su varietà autoctone e anche con nuovi impianti «non saremo in grado di affermarci sul piano della quantità in tempi ragionevoli». Pascucci ricorda che l’Igp Toscano è il 20% della produzione regionale per cui la quota può crescere, ma anche che l’olio d’oliva toscano è solo il 2% del nazionale. Scanavino: il primo problema in Italia è produrre più olio, sprecando meno olive e intensificando gli uliveti; parallelamente bisogna aumentare gli oli Dop e Igp, che sono le uniche certificazioni valide e le barriere migliori contro le contraffazioni.
Gli oli extravergini certificati Dop o Igp hanno avuto nel terribile 2016 una tenuta di gran lunga migliore rispetto al resto della produzione d’olio d’oliva italiana. Anzi in molti casi hanno registrato forti progressi. Si pensi all’Olio extravergine Toscano Igp o all’Olio extravergine Chianti classico Dop, per restare alla nostra regione. Però a livello nazionale rappresentano ancora una quota infinitesimale della produzione generale e pure in Toscana, dove la percentuale è assai maggiore, c’è ancora strada da fare (vedi nostro servizio).
Come valutare la situazione e quali politiche olivicole perseguire? Lo abbiamo chiesto ad alcuni esponenti del mondo agricolo e istituzionale che erano presenti all’assemblea regionale della Confederazione italiana agricoltori l’8 febbraio a Firenze. Alcuni sentiti velocemente, altri con un po’ più di calma. Il quadro che viene fuori è di accordo sulla necessità di insistere sulle Indicazioni geografiche (Ig), cioè di allargare la produzione d’olio extravergine certificata. Ma emerge, fra le righe, una differenza di impostazione fra chi spinge anche per politiche tese ad aumentare la quantità di olio prodotto e chi invece si concentrerebbe solo sulla produzione d’alta qualità, dando per inutile la sfida sul terreno quantitativo ai concorrenti internazionali, in primis la Spagna.
«Il problema – ha detto il presidente di Cia Toscana Luca Brunelli - è davvero essere padroni del nostro prodotto, ma essere in grado poi di avere tutti gli strumenti per commercializzarlo. La differenza fra l’olio e il vino è che il vino l’abbiamo fatto capire nel mondo, la nostra cultura e quel tipo di prodotto, con l’olio abbiamo bisogno di crescere in questo senso, abbiamo bisogno di far capire le qualità, far capire il beneficio che il mondo ha nel consumare i nostri prodotti come l’olio e come gli altri. Io credo che la direzione che abbiamo preso in questa regione delle Dop e delle Igp sia una direzione giusta ed è l’unica che ci può permettere di essere ancora competitivi nel mondo» (vedi anche nostro servizio).
Anche per il presidente della Commissione agricoltura alla Camera nell’ultima legislatura, Luca Sani, «per semplificare, sull’olio dobbiamo fare come per il vino. Noi siamo ancora abituati a pensare all’olio come una commodity. Non è così. L’olio è un prodotto alimentare di grande prestigio e livello e tutte le sue sfumature piano piano vengono apprezzate dal consumatore. Non è un caso se a fianco ai corsi di sommelier si stanno sviluppando i corsi per degustatori di olio. C’è un’attenzione che cresce e credo che il mercato e i produttori dovrebbero tenerne conto. E quindi anche su questo ci vogliono politiche dei marchi e politiche delle provenienze e delle varietà; naturalmente varietà autoctone, toscane e nazionali. E credo che sarebbe un errore pensare di risolvere il problema della maggiore domanda di olio extravergine di oliva introducendo nelle nostre produzioni varietà che non sono legate ai nostri territori solo per un problema di quantità. Noi dobbiamo puntare a un sistema di qualità sapendo che per come sono le dinamiche l’Italia non sarà mai in grado di soddisfare al proprio fabbisogno interno di olio extravergine di oliva per cui dobbiamo noi pensare all’elemento della qualità e quello della quantità giocarlo su altri piani». Quindi se si cercasse di aumentare anche la quantità andrebbe fatto solo nel rispetto assoluto di qualità e varietà autoctone? «Io la penso così. D’altronde la scelta della quantità l’hanno fatta altri. Noi non saremo mai in grado, anche con una volontà di fare nuovi impianti e quant’altro, di affermarci sul piano della quantità in tempi ragionevoli. Mentre invece possiamo giocare la carta della qualità. C’è una forte domanda di olio extravergine di oliva fra i consumatori e soprattutto sul mercato internazionale: l’Italia può giocare questa carta al pari di altri prodotti».
Il direttore di Cia Toscana Giordano Pascucci dice che bisogna incrementare la quota di oli extravergini certificati: «intanto, se guardiamo i numeri, l’Igp Toscano è circa il 20% della produzione annuale, quindi vuol dire che c’è ancora un margine dell’80%. Noi dobbiamo sempre considerare che il 50% dell’olio che viene prodotto in Toscana va sull’autoconsumo». Se l’Igp in Toscana è già al 20% è molto meglio del dato nazionale. «Assolutamente sì. Noi abbiamo piccoli numeri. Perché la produzione di olio della Toscana è il 2% di quella nazionale. Quindi abbiamo numeri “insignificanti” dal punto di vista produttivo, nel senso che ad esempio non produciamo tanto olio quanto ne produce, ad esempio, la provincia di Bari. Però nel nostro piccolo dimensionamento, con un grande livello qualitativo, abbiamo solo il 20% dell’olio toscano che diventa Igp Toscano, quindi possiamo ancora crescere. Si tratta di coniugare qualità del prodotto, prezzo del prodotto, quindi remunerazione e qui vincere effettivamente la competizione nei mercati, perché se il consumatore è abituato a comprare un extravergine che ritiene di qualità a 2/3 euro, il nostro olio toscano a meno di 8/9/10 euro sugli scaffali non ci arriva. Questo è l’approccio che dobbiamo seguire, perché qui abbiamo l’elemento distintivo della Toscana, il paesaggio, il territorio, che sono valori sui quali continuare a investire».
«Noi in Italia facciamo troppo poco olio – esordisce Dino Scanavino, presidente di Cia nazionale -. Ne facciamo meno di quello che consumiamo e ne sprechiamo anche molto, perché non abbiamo le attrezzature, la tecnologia per far diventare olio extravergine tutte le olive che coltiviamo. Quindi coltiviamo molti olivi, ma produciamo poco olio: questo è il problema di base. Le Igp e le Dop sono come per gli altri prodotti l’unico elemento che ci difende davvero dalle contraffazioni, tutto il resto sono chiacchiere. Cioè se noi non abbiamo dei sistemi di certificazione rigorosi che certificano l’origine del prodotto, le etichettature estemporanee e i sistemi di autocertificazione sono tutte cose che commercialmente daranno i loro risultati ma dal punto di vista strutturale non sono in grado di certificare. Quindi le Dop e le Igp segnano la distintività italiana. I produttori ci credono poco […] e quindi questo è un elemento che dobbiamo assumere come impegno politico nel convincere i produttori ad aderire alle Dop e alle Igp e ai loro consorzi affinché una parte maggiore della produzione diventi certificata».
Ma la sfida sulla quantità non è una battaglia persa? «Io non ci credo. Intanto perché parlare della qualità è come parlare della vita, ognuno ha una propria idea su che cosa è la qualità. Quindi bisogna stare attenti quando se ne parla. Comunque io credo che si possa fare buona qualità aumentando di molto la produzione. Perché noi intanto dobbiamo far diventare olio tutte le olive che coltiviamo. Non è una banalità, perché noi coltiviamo una percentuale molto più alta di olive rispetto a quelle che moliamo. Stanno sugli alberi, cadono a terra a Natale. Inoltre dobbiamo mettere in condizione l’olivicoltura italiana di intensificare gli uliveti, non fare il super intensivo ma intensificare e fare più prodotto con olivi la cui raccolta possa essere meccanizzata e dai quali ottenere un olio di qualità, secondo i parametri scientifici riconosciuti e le valutazioni dei degustatori. Noi potremmo fare molto più olio con queste caratteristiche di quello che facciamo ora». Quindi senza prendere cultivar efficienti da fuori? «Per ora io vorrei vedere quello che riusciamo a fare con le piante di olivo che abbiamo in campo e poi misurarci anche con le innovazioni e le introduzioni genetiche, verso le quali noi abbiamo una grande apertura».
Lorenzo Sandiford