Alberto Pardossi sulla riduzione della chimica di sintesi nelle serre

Alberto Pardossi riduzione della chimica di sintesi nelle serre

Breve intervista al prof. Alberto Pardossi dell’Università di Pisa, a margine dell’incontro sulle serre temporanee e il florovivaismo del 16 giugno di Confagricoltura Pistoia, su alcune specificità del controllo biologico a fini antiparassitari in serra e nel vivaismo.

 
«Le serre del futuro», fra «innovazione e sostenibilità nel settore florovivaistico», sono state al centro dell’intervento del prof. Alberto Pardossi, ordinario di Orticoltura e floricoltura dell’Università di Pisa, in occasione dell’incontro del 16 giugno a Pistoia fra i vertici di Confagricoltura e Stefania Saccardi, assessore all’agricoltura e vice presidente della Regione Toscana, sulla questione della regolamentazione delle serre agricole temporanee (vedi). 
Nella sua relazione Pardossi si è soffermato, tra l’altro, sulle due principali «linee evolutive della sostenibilità in serra»: da un lato quella legata all’utilizzo di energie rinnovabili e dall’altro la tendenza a ridurre l’impiego di prodotti chimici di sintesi a fini antiparassitari incoraggiando piuttosto l’uso di metodi di controllo di tipo biologico. Tendenza, quest’ultima, avviata nel vivaismo anche al di fuori delle coltivazioni in serra.
Floraviva ha sentito il prof. Alberto Pardossi a margine dell’incontro ponendogli qualche domanda su questa seconda linea evolutiva delle serre verso la riduzione della chimica di sintesi e se ci sono (e di che tipo) differenze nell’applicazione dei principi del controllo biologico nelle colture in serra e nelle coltivazioni fuori dagli ambienti protetti.
Ci sono due ordini di motivi per la tendenza a ridurre i prodotti chimici nelle serre, ha spiegato innanzi tutto Pardossi: il primo è che «soprattutto in Europa, c’è una politica di riduzione dei principi attivi: i pesticidi, insetticidi, fungicidi che possono essere applicati alle colture in senso lato, in tutti i settori, e quindi anche alle serre e nel settore florovivaistico». Quindi da un lato «ci sono meno principi attivi che possono essere utilizzati», dall’altro «c’è una richiesta sempre crescente da parte del pubblico di prodotti, soprattutto alimentari come gli ortaggi ma anche ornamentali, che siano coltivati con criteri di lotta biologica». 
«Questo fa sì – ha continuato Pardossi - che anche non volendo i serricoltori siano costretti a ricorrere a tali tecniche di controllo relativamente nuove di malattie e parassiti, che però richiedono competenze molto elevate, perché l’applicazione di un programma di difesa antiparassitario di tipo chimico è più semplice rispetto invece all’applicazione di un programma che si basa sull’uso di organismi: insetti utili, predatori, parassitoidi». Infatti, nel secondo caso, «si tratta di conoscere i cicli biologici di questi organismi, delle piante, dei loro parassiti e dei parassiti dei parassiti, che rendono il sistema molto molto complesso». D’altra parte, ha ribadito Pardossi, «tutta l’attività di ricerca e di sviluppo tecnologico in questo settore vanno in quella direzione, cioè verso un sistema di produzione che faccia meno ricorso alla chimica di sintesi soprattutto per quanto riguarda i prodotti antiparassitari». 
Ci sono differenze, professore, fra il controllo biologico in serra e fuori serra? 
«Per certi versi può essere più semplice l’applicazione in serra, perché in serra abbiamo uno strumento in più, che è il controllo del clima. Ad esempio alcune malattie si diffondono più facilmente quando la superficie vegetale viene bagnata. Il fatto stesso che in serra non abbiamo l’effetto negativo della pioggia è già un vantaggio. D’altra parte però la serra, soprattutto nella stagione invernale, tende ad essere più umida rispetto alla piena aria. Quindi occorre una gestione del clima attraverso il riscaldamento e la ventilazione che può consentire di gestire meglio alcune malattie».
Dunque esistono delle specificità nel controllo biologico in serra?
«Come no. Basti pensare alle reti antinsetto. Le reti antinsetto fanno sì che i parassiti che sono all’esterno non riescano a entrare nella serra. Quindi l’uso di una zanzariera abbinato a misure di igiene e profilassi può garantire dei risultati in termini di controllo delle malattie che sarebbe più difficile raggiungere in pieno campo».
Quindi ci sono condizioni più favorevoli e vantaggi nella lotta biologica in serra?
«Sì, forse ci sono più vantaggi». 
E a proposito delle differenze fra lotta biologica nel vivaismo rispetto ad altri comparti agricoli che dice?
«Nel settore vivaistico ornamentale c’è un altro aspetto che secondo me rende complicata la difesa antiparassitaria: sono tantissime le specie vegetali coltivate, sono centinaia, sono migliaia, mentre spesso all’interno della serra abbiamo la monocoltura o comunque poche specie. E già questo crea una promiscuità vegetale più bassa rispetto a quella che si crea in un vivaio. Chi si occupa di difesa antiparassitaria di un vivaio deve conoscere centinaia di piante ognuna delle quali ha i suoi specifici parassiti e le sue malattie. Quindi è molto più complicato. Per chi si occupa ad esempio di rose, il lavoro è più semplice ».
Anche l’orticoltura è più semplice del vivaismo ornamentale in questo senso?
«Sì, sono in quantità sicuramente minore. D’altra parte però gli orticoltori si trovano di fronte al problema dei residui».
 

L.S.