VerdeCittà Bologna, le piante contro il climate change: programmare la produzione
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in Il vivaista
Nella prima tappa bolognese del progetto VerdeCittà manifestata da più voci (Ferretti del Conaf, Diolaiti dell’Ass. pubblici giardini, Magazzini dell’Ass. vivaisti italiani) l'esigenza di “contratti di produzione” (o coltivazione) per far fronte all’aumento della domanda di piante legato al contrasto al cambiamento climatico e alla mitigazione dei suoi effetti. Magazzini ha chiesto anche un'equiparazione del vivaismo ornamentale all’agroalimentare sui principi attivi utilizzabili per la difesa dai patogeni.
«Ormai anche la politica ha fatto propria l’idea che il verde è utile e sfogliando i quotidiani vediamo un continuo annuncio di numeri incredibili di piante. Ma ci vuole qualcuno che sia in grado di produrre verde di qualità. Per fortuna in Italia siamo al top in Europa per la produzione di verde. Ma non sono tutte rose e fiori perché, come ha accennato Renato Ferretti nel suo intervento, molte piante hanno bisogno di 10 anni di produzione. Per cui senza programmare la produzione si ragiona del nulla, abbiamo una capacità produttiva limitata e questa primavera abbiamo avuto difficoltà a soddisfare tutta la domanda».
Così il presidente dell’Associazione vivaisti italiani (Avi) Luca Magazzini, nel suo intervento conclusivo del webinar di VerdeCittà Bologna dello scorso 11 giugno, ha sottolineato l’importanza della programmazione della produzione di piante dei vivai, possibilmente con contratti di coltivazione o di produzione pluriennali, per far fronte all’aumento della domanda di verde legato al contrasto al cambiamento climatico e alla mitigazione dei suoi effetti. Argomento toccato anche da altri relatori del primo dei cinque webinar di VerdeCittà, uno su argomento diverso per ognuna delle cinque città coinvolte nel progetto a cura di Mipaaf-Crea, Fiera di Padova e Conaf (vedi), che verteva proprio su verde e climate change.
«Nella gamma produttiva abbiamo migliaia di varietà di piante e forme per i più vari utilizzi – ha aggiunto Luca Magazzini - però tutte queste produzioni si scontrano con problematiche fitosanitarie in divenire per l’aumento incredibile delle minacce di patogeni. Non per nostra incompetenza, ma perché negli ultimi 20/25 anni con la globalizzazione delle merci (non solo delle piante) sono arrivati patogeni alieni che prima non esistevano e che dobbiamo combattere con principi attivi più che dimezzati perché il sistema normativo li ha penalizzati. Per cui ogni stagione abbiamo meno principi per difendere le piante da più minacce». «Pertanto – ha concluso Magazzini - chiediamo da un lato contratti di produzione per programmare le coltivazioni dei vivai e dall’altro un rafforzamento dei principi attivi a disposizione per difendere le produzioni. A questo proposito, un suggerimento già avanzato da tempo è quello di poter utilizzare principi attivi che sono utilizzati nell’agroalimentare (il comparto in cui si producono, a differenza nostra, prodotti che vanno sulle tavole dei cittadini) anche nel vivaismo ornamentale». Niente di più che una equiparazione al resto del settore agricolo, dunque.
Il webinar si era aperto con il saluto di Pietro Gasparri del Ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf) che ha ricordato che il progetto VerdeCittà è nato nel contesto delle attività del tavolo di filiera del florovivaismo e mira tra l’altro a divulgare la qualità delle produzioni vivaistiche nazionali in particolare fra le amministrazioni pubbliche. «Vogliamo valorizzare il prodotto nazionale – ha detto Gasparri – ma vogliamo anche incoraggiare investimenti nel verde pubblico e nella sua manutenzione», per tutti gli effetti benefici che esso ha sulla qualità della vita nelle città.
Subito dopo Gianluca Burchi, dirigente del Crea OF che ha coordinato il progetto VerdeCittà, ha elogiato l’allestimento di piante di questa prima tappa bolognese, che è stato curato da Riccardo Adversi con 13 specie arboree e 290 specie arbustive scelte tenendo conto anche delle capacità di catturare le emissioni inquinanti, e poi ha messo in evidenza il coinvolgimento di tutti i segmenti della filiera nell’ambito del progetto. «Il verde è un investimento: non una spesa – ha rimarcato Burchi -. Come mostrano vari studi, ogni euro investito nel verde alla lunga porta un vantaggio sicuramente superiore all’euro investito».
Renato Ferretti, consigliere del Consiglio nazionale dell’ordine degli agronomi e dei dottori forestali (Conaf) e coordinatore scientifico di VerdeCittà, dopo aver ringraziato per il contributo al progetto Alberto Manzo, funzionario del Mipaaf a lungo coordinatore del tavolo di filiera, e Cristiana Bertero di Flormart, ha così riassunto gli obiettivi generali: qualificare il verde delle città, aumentare le superfici a verde e gli alberi, migliorare la gestione del verde. Poi, dopo aver perorato la causa dell’uso di una «terminologia corretta», ha fra l’altro detto che la domanda di verde delle città si articola nelle seguenti esigenze: mitigazione degli estremi climatici, creazione di una rete ecologica urbana, contrasto alle allergie ma anche piante pollinifere per favorire gli insetti pronubi, alberi adatti ad ambienti e usi diversi. «Le risposte – ha sostenuto Ferretti - vengono dalla produzione, che deve essere preparata per questi usi e ha bisogno di una programmazione, perché non si possono improvvisare gli alberi. Per avere buoni alberi, devono essere allevati 10/12 anni in vivaio. Bisogna che i produttori abbiano un programma pluriennale su cui contare e non si può mettere tutto a gara. Solo così potremo fare progetti contestualizzati, con la scelta delle specie adatte, ma anche le indicazioni agronomiche per le migliori condizioni di impianto e il programma delle cure colturali per il primo quinquennio».
Nella sua relazione su “Verde e microclima urbano”, il prof. Simone Orlandini del Dipartimento di Scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali e del Centro interdipartimentale di Bioclimatologia dell’Università di Firenze, ha illustrato le molteplici relazioni fra la presenza di vegetazione e il clima nelle città, guardando a temperatura, vento e umidità. Con particolare attenzione al fenomeno dell’isola di calore urbana, per cui fra città e ambiti extraurbani si arriva a differenze di temperatura anche di oltre 5 gradi, che ha effetti negativi sulla salute e incentiva l’uso dei condizionatori d’aria, i cui motori contribuiscono a loro volta ad aumentare la temperatura e l’inquinamento atmosferico in un vero e proprio circolo vizioso. Il professore ha poi spiegato come si estrinseca l’azione mitigatrice della vegetazione fornendo alcuni esempi e anche raffronti sui diversi effetti di differenti tipologie di aree verdi e piante.
“Il verde in città contro il cambiamento climatico: la gestione della ‘foresta urbana’” è stato il tema dell’intervento di Roberto Diolaiti, presidente dell’Associazione pubblici giardini e direttore del settore Ambiente e verde del Comune di Bologna. Facendo riferimento all’aumento della frequenza degli eventi naturali calamitosi negli ultimi anni, Diolaiti ha prima messo in chiaro che non si può più parlare di eventi meteorologici “estremi” ma bisogna usare il termine eventi meteo “non convenzionali”. Poi ha riassunto i fattori critici nella gestione degli alberi in ambienti urbani (spazio vitale, interferenze spaziali, inquinamento ambientale, danneggiamenti) e i principi della coltivazione della foresta urbana. «Bologna con il progetto Blueap è stata la prima a dotarsi nel 2015 di un piano di adattamento al cambiamento climatico – ha detto Diolaiti – e molte delle azioni lì previste vedono gli alberi come protagonisti». Gli alberi e le piante in generale sono dunque i «migliori alleati dell’uomo» in questa battaglia. Ma come sceglierli? «La ricerca scientifica – ha puntualizzato Diolaiti – ci ha restituito risultanze in relazione all’efficacia ed efficienza di alcune specie botaniche rispetto ad altre. Ma anche in termini di emissione di sostanze volatili, di potenzialità allergenica e di propensione alla formazione di ozono». Quindi occorre piantare sempre più alberi delle specie botaniche più efficaci e meno esigenti, dando corso anche ai rinnovi dei patrimoni arborei senescenti, che sono meno efficaci nell’ottica del contrasto ai cambiamenti climatici. Ma se non vogliamo correre il rischio di «non riuscire a reperire il necessario materiale vegetale (o, quanto meno, della qualità richiesta)» sono necessari «i “contratti di coltivazione”, ossia rapporti pluriennali tra amministrazioni pubbliche e produttori, finalizzati ad avere garanzie sulla fornitura del materiale vegetale necessario, quanto meno nell’ambito della corretta gestione della “foresta urbana”».
L.S.