La carenza di piante di quest’anno è una tempesta perfetta o un’opportunità da cogliere?

Francesco Ferrini, presidente del Distretto vivaistico ornamentale di Pistoia
Se chiedete ai produttori di piante la disponibilità, in numeri anche non necessariamente consistenti, potreste sentire affermazioni come “purtroppo non ne abbiamo al momento”, "c’è una domanda senza precedenti" o "è la peggiore carenza di piante da anni". Difficile pensare che la vendita di tutta la merce possa essere vista come un fatto negativo per il mercato. Non lo sarebbe se stessimo parlando di mascherine, magliette, di un qualcosa, insomma, che si può produrre in un tempo che può essere anche solo di pochi secondi o minuti.
Ma cosa è successo per creare questa carenza? L’analisi tocca aspetti anche non meramente tecnici, sanitari, sociologici, psicologi, economici e politici. La pandemia, che ci ha costretti a casa per mesi, ha avuto infatti il “merito” di aprirci gli occhi sui benefici del verde e su quanto esso possa migliorare la nostra salute fisica e mentale. Di conseguenza tutti noi abbiamo sentito il bisogno di riavvicinarsi alla natura, di frequentare le aree verdi, di curare il proprio giardino, magari trascurato per troppi anni. Di conseguenza c’è stato un notevole incremento della domanda di piante che, tuttavia, segue la recessione avvenuta negli anni ‘10, durante i quali molti vivai avevano un'offerta eccessiva e una produzione ridotta, e molti hanno cessato l'attività, riducendo, di conseguenza il potenziale produttivo del settore.
La produzione attuale è probabilmente inferiore, in termini numerici, rispetto a 15 anni fa e poter far fronte alle richieste già adesso e a quelle che si presume ci saranno nei prossimi 5 anni non è e non sarà semplice, perché se i soldi del Recovery Fund dovranno essere spesi entro il 2026 vuol dire che dobbiamo programmare adesso tutti gli impianti per soddisfare le potenziali necessità, se consideriamo un ciclo produttivo breve in grado di fornire piante del calibro 12-14 nel giro di tre anni. Ma i terreni utilizzabili ci sono? Le risorse economiche per partire in assenza di finanziamenti esterni sono disponibili? L’apparato burocratico-amministrativo è in grado di “dare una mano” per questa “Rivoluzione verde”? C’è sufficiente disponibilità idrica per garantire la produzione? Ci sono indicazioni su quali specie piantare? Si parla genericamente di specie autoctone, ma il termine è “fluido” e necessita di un preciso contesto per essere pienamente compreso. A ciò si aggiunge che il vivaismo è un’attività già a corto di manodopera, soprattutto formata, e non sarà facile averne in quantità e qualità sufficienti in tempi brevi.
La difficoltà di reperire materiale in Italia potrebbe portare (e in parte è già successo) a importare materiale da altri Stati il che, oltre a presentare perplessità per l’introduzione di materiale genetico diverso, pone anche il problema della diffusione di malattie di origine patogena o entomologica, oltre che, come spesso è accaduto, quello dell’importazione di materiale di scarsa qualità morfologica.
Siamo arrivati al punto in cui i vivaisti devono comunicare ai clienti in anticipo che ci vorranno uno-due, forse addirittura tre anni per avere le disponibilità richieste e lasciare che decidano se vogliono o possono aspettare. La buona notizia è che c'è molto lavoro, ci sono ottime prospettive, ma può rivelarsi un business agrodolce, se non adeguatamente gestito a tutti i livelli.
Allora cosa possiamo fare? Nel frattempo, gli esperti affermano che questa è un'opportunità sia per i produttori sia per la committenza pubblica e privata di poter siglare contratti a lungo termine per garantire la fornitura dei materiali vegetali necessari per i progetti, nei modi, nei modi e della qualità prevista. La possibilità di stipulare contratti di coltivazione rappresenta infatti un vantaggio sia per il produttore vivaista, che sarà dunque in grado di programmare la produzione con la garanzia di collocazione del prodotto, sia per il committente pubblico e privato che, in questo modo, avrà la certezza di poter reperire il materiale nelle quantità e della qualità richieste. Tutto ciò rappresenterebbe un notevole impulso al mercato, aumentando l’occupazione e innescando una filiera produttiva in grado di produrre redditività all’imprenditore privato e garanzia di buona riuscita dei progetti al committente, soprattutto pubblico.
Siamo decisamente in una posizione in cui non saremo in grado di coltivare piante per tutti e occorrerà quindi privilegiare quei clienti che possono e vogliono davvero lavorare su un piano a lungo termine e gli appaltatori devono pensare in anticipo alle esigenze per i nuovi impianti e per il rinnovo delle alberature senescenti. Soprattutto adesso, con le carenze, migliore è la programmazione, maggiori sono le possibilità di ottenere i materiali di cui si ha necessità in tempi adeguati.
La grande domanda è quanto durerà questa carenza? Se non sarà possibile mettere a coltura altre aree per la produzione di materiale nel breve termine, non possiamo aspettare di vedere presto alcun sollievo nell'approvvigionamento di materiale vegetale. Personalmente ritengo che la richiesta di piante non sia destinata a esaurirsi presto. Anzi, non sarà solo un fenomeno del 2021 e sicuramente durerà, credo, almeno altri tre-cinque anni".
Il problema è che dobbiamo chiederci cosa accadrà una volta esauriti i fondi del PNRR. La domanda che il mondo vivaistico si pone riguarda il fatto che occorre prendere adesso decisioni, quando il mercato va bene, ma col rischio di trovarsi fra qualche anno in una situazione in cui la domanda decresce e con la possibilità di avere molto materiale invenduto. Se è pur vero che questo fa parte del rischio imprenditoriale, è altrettanto vero che dobbiamo scongiurarlo anche perché il vivaismo e tutta la filiera del verde ornamentale rappresentano un notevole “motore economico” per il nostro Paese in grado di fornire potenziali benefici per tutti e un ritorno non solo in termini di miglioramento nei principali parametri di salute e benessere, ma anche dei ritorni economici diffusi e non limitati ai soli produttori vivaisti o a coloro che realizzano le opere a verde, ma anche per i cittadini con un diffuso benessere.
La maggior parte delle città italiane hanno una copertura inferiore al 15% (ma spesso molto meno) e le autorità governative locali dovrebbero stabilire obiettivi ambiziosi di aumento della copertura arborea che potrebbero portare a un consistente incremento della densità del verde urbano nel corso di un periodo di programmazione previsto in 20-30 anni.
Ecco perché occorre una concertazione con le politiche di settore, fondamentale per dare sicurezza al settore e garantire alle nostre città di avere un verde di qualità che non può prescindere dall’impianto di materiale di qualità. Ed ecco perché occorre porre il vivaio al centro di questa concertazione.
Essere sulla cuspide di un possibile cambiamento significativo offre opportunità sia per la foresta urbana sia per coloro che la devono gestire per dare un contributo significativo alla sostenibilità e alla vivibilità delle città per decenni e nei secoli a venire. Carpe diem

Francesco Ferrini 
Presidente del Distretto Rurale Vivaistico-Ornamentale di Pistoia

Prof. di Arboricoltura e Coltivazioni Arboree, Università di Firenze