L’Orto botanico di Lucca: con le sue piante esotiche e rare il modello di tanti giardini storici privati
Paolo Tomei, eminente fitogeografo dell’Università di Pisa, lo ha scelto soprattutto per il suo valore storico-botanico. In inverno spicca l’arboreto con piante dell’800, autoctone od esotiche, fra cui un pino laricio, un cipresso delle paludi e un monumentale cedro del Libano. In un laghetto i rari sfagni.
Grazie al suo interessante patrimonio di alberi, che annovera esemplari esotici risalenti all’800 ma pure specie autoctone a rischio d’estinzione, anche d’inverno è un piacere visitare l’Orto botanico di Lucca, benché non si possano apprezzare la collezione di camelie o quella delle piante medicinali, forse la più importante in Italia. Tanto più se a illustrarlo è Paolo Tomei, professore di fitogeografia all’Università di Pisa (la scienza che studia la distribuzione geografica delle piante e le sue cause), capace di svelarti tanti segreti e curiosità. Un intellettuale non solo erudito ma anche dotato di sense of humour, come testimoniato dalla seguente risposta a una domanda sul suo ruolo presso l’orto botanico lucchese: «io sarei definito consulente scientifico, però mi sembra un po’ una carica come quella del Gran Mogul in India quando c’erano gli inglesi: gli facevano fare le parate con gli elefanti ma poi…».
Il motivo principale per cui il professor Tomei ha indicato l’Orto botanico di Lucca quale terzo “giardino da intervista” è di ordine storico-botanico ed è ben spiegato da lui stesso: «ho scelto questo giardino innanzi tutto perché lo conosco molto bene, dato che sono 40 anni che me ne occupo, e poi perché è il nucleo da dove si sono diffuse le diverse specie di piante che hanno poi costituito gli attuali giardini storici della Lucchesia», un’area che è nota a livello internazionale per i suoi paesaggi, con «una serie di ville – conferma Tomei - di notevolissimo interesse e collezioni vegetali di gran pregio, come per esempio quelle eccezionali di camelie», alcune di antica introduzione come documentato da ricerche effettuate alcuni anni orsono, condotte da Tomei stesso insieme ad altri studiosi.
Come si legge nell’opuscolo di presentazione dell’Orto botanico di Lucca - che reca anche una citazione dai Saggi di Francis Bacon del 1579 che vale la pena di riportare: «Dio onnipotente per primo piantò un giardino. E infatti è il più puro degli umani piaceri. E’ il più grande ristoro per lo spirito dell’uomo» -, esso fu istituito nel 1820 da Maria Luisa di Borbone quale strumento di didattica e ricerca per la cattedra di botanica presente nell’università da lei fondata a Lucca. E durante il XIX secolo l’Orto fu centro di studi scientifici che diedero un notevole contributo alle conoscenze floristiche del territorio lucchese.
Ma l’aspetto che a Tomei preme sottolineare è che «tutti i giardini delle ville patrizie lucchesi sono legati all’Orto botanico di Lucca in quanto esso, nella prima metà dell’800, introducendo una grande quantità di specie esotiche che precedentemente nei giardini non comparivano, cambiò il gusto estetico dei nobili», che cominciarono a comperarle per arricchire i parchi delle loro ville. «Precedentemente – aggiunge – erano diffusi i giardini geometrici, dove la flora era generalmente autoctona, poche infatti erano le specie esotiche impiegate. Con la venuta a Lucca di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, fu rimodellato in parte il giardino della Villa Reale di Marlia con l’introduzione di diverse specie esotiche provenienti dai giardini di Napoli. In questo periodo, in Lucchesia, si passa dal giardino geometrico al giardino di paesaggio. I nobili lucchesi apprezzando queste novità desideravano le nuove specie introdotte dalla principessa ma era difficile trovarle. Fu attraverso l’Orto, però che riuscirono ad ottenerle; esso importava semi dagli altri orti botanici europei e quindi potè dotarsi delle specie esotiche ricercate, le moltiplicò e le vendette». Era questo il suo modo di finanziarsi, come spiegò Benedetto Puccinelli, che fu il secondo e intraprendente direttore del Giardino, dal 1833 al 1850.
Le tracce di questo passato sono rappresentate da alcuni esemplari dell’arboreto che Tomei ci illustra. A cominciare dal «monumentale» cedro del Libano piantato nel 1820, che «è figlio di quello di Pisa». E poi alle sequoie, che qui sono relativamente piccole: alte soltanto 30-40 metri.
Singolare il cipresso calvo, al centro del laghetto che fu fatto costruire dal direttore Cesare Bicchi nella seconda metà dell’800 «una pianta di Taxodium distichum – dice Tomei - che avrà 120/130 anni e viene dalle paludi della Florida». «Siccome vive nelle paludi, ha problemi di ossigenazione e quindi le radici formano delle strutture allungate che fuoriescono dall’acqua dette pneumatofore».
Si arriva poi alla montagnola, dove ci sono diverse specie di piante che vivono sulle rocce. «Nella parte anteriore – spiega Tomei – compaiono rocce calcaree e specie mediterranee. Mentre nel settore retrostante si osservano specie dell’Appennino Lucchese, ed il substrato è costituto da rocce silicee». «Qui – osserva - c’è un pino interessante; si tratta del pino laricio del Monte Pisano, dove questa entità è ancora presente con solo otto individui, quindi è sull’orlo dell’estinzione. Ora, il pino laricio è specie Mediterranea, ma pare che quella del Monte Pisano sia una razza locale. La popolazione senza dubbio è autoctona, perché già nel ‘700 era segnalata». L’esemplare dell’Orto ha circa 200 anni ed è quindi fra gli alberi più vecchi dell’Orto, insieme al cedro e a una Gleditsia sinensis sempre di circa 200 anni.
Ma l’Orto botanico di Lucca non contiene solo alberi. E anche fuori dalle stagioni delle fioriture - che avrebbero consentito di apprezzare appieno la collezione di camelie, quella ricchissima delle piante medicinali provenienti da tutto il mondo (basata su un elenco stilato dalla Fao alcuni anni fa) e quella delle specie palustri autoctone, fra cui alcune rare o in via d’estinzione -, il professor Tomei riesce a farci vedere una rarità: «un Briofita del genere Sphagnum» (foto di apertura, sopra il titolo).
«Gli Sfagni – spiega - sono muschi dell’Europa centrale e dell’Europa settentrionale, scesi nel Mediterraneo durante le glaciazioni e in Toscana rimasti in stazioni particolari con significato relittuale. Qui è stata ricostruita una piccola torbiera dove essi possono vivere, cosa per altro non facile perché questi muschi non tollerano acqua calcarea, ma vogliono acqua a pH acido. Fortuna ha voluto che qui giungesse l’acquedotto di Lorenzo Nottolini che porta, dal Monte Pisano, proprio l’acqua adatta alla vita degli Sfagni, per altro presenti sul medesimo Monte».
«L’Orto di Lucca – conclude Tomei - è un giardino storico ed una istituzione scientifica dove ben si coniugano il desiderio del bello e della conoscenza della natura».
Per ulteriori informazioni prima di visitarlo, si consiglia lo spazio web ad esso dedicato all’interno del sito dell’«Opera delle Mura».
Lorenzo Sandiford