Il valore delle piante in città per ridurre l’inquinamento e migliorare la salute
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in Il vivaista
L’intervento del Prof. Francesco Ferrini, docente di arboricoltura all’Università di Firenze, all’incontro sul verde urbano organizzato dal Comune di Capannori in occasione della Festa dell’albero: gli effetti benefici delle piante in città, gli studi sulle capacità di varie specie di alberi e arbusti di intercettare i differenti tipi di inquinanti e i metodi per sfruttare al meglio tali capacità nel progettare gli spazi verdi.
Uno studio sperimentale effettuato per diversi anni su una barriera arbustiva costituita da 6 specie sempreverdi (Arbutus unedo, Elaeagnus x ebbingei, Laurus nobilis, Ligustrum japonicum, Photinia x fraseri, Viburnum lucidum) «ha evidenziato l’importante ruolo delle barriere nella mitigazione degli inquinanti, fra cui in particolare le polveri sottili, e può fornire strumenti validi per contribuire al contrasto dell’inquinamento dell’aria nelle nostre città, oltre che utili informazioni nella scelta, impianto e gestione delle fasce tampone arbustive ai lati delle strade a elevata circolazione di autoveicoli». In un’altra indagine sono state confrontate due diverse metodologie di quantificazione del PMx (polveri sottili), la microscopica e la filtrazione: «i PMx sono stati quantificati in foglie di 32 specie e la regressione lineare tra le due metodologie ha confermato che entrambi i metodi potrebbero essere comparabili quando le foglie hanno una copertura di PMx di almeno l'1%». Nella stessa ricerca «è stata verificata anche una correlazione negativa tra l'accumulo di PMx e l'area fogliare specifica (SLA) e che questo tratto fogliare può essere raccomandato per distinguere tra specie accumulatrici di particelle».
Sono due fra gli studi di cui ha parlato il Prof. Francesco Ferrini, docente di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’Università di Firenze e presidente del Distretto rurale vivaistico-ornamentale di Pistoia, verso la fine della sua conferenza del 20 novembre scorso nella sala consiliare del Comune di Capannori sul “Ruolo delle aree verdi per il miglioramento della salute globale” di fronte a un pubblico non professionale. Due studi recenti, entrambi condotti sul territorio toscano: il primo nel Comune di Pescia (finanziato dal Mipaaf), il secondo nella piana lucchese (con il sostegno finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca). Studi molto rilevanti per la principale problematica ambientale della piana di Lucca, che anche nell’anno della pandemia, come richiamò lo scorso febbraio Legambiente, si è confermata maglia nera regionale per i superamenti dei limiti di PM10 (anche se, ha spiegato Ferrini, anche a causa delle correnti d’aria che portano nella piana inquinamento generato altrove). E che ben esemplificano quanto possono fare le piante per la riduzione dell’inquinamento dell’aria, se ben utilizzate, secondo criteri scientifici, oltre a mostrare come gli studiosi quali Ferrini stiano procedendo per affinare le metodologie di impiego di alberi e arbusti delle varie specie per migliorarne gli effetti.
A introdurre la conferenza era intervenuto fra gli altri l’assessore all’ambiente del Comune di Capannori, Giordano Del Chiaro, affermando che Francesco Ferrini è coinvolto nel progetto di studio promosso dal Comune sulla qualità dell’aria che ha comportato l’installazione di diverse centraline sul territorio. «Con il prof. Ferrini – ha detto l’assessore Del Chiaro – stiamo studiando in particolare come il verde e la messa in posa di alberi possano dare un contributo alla riduzione delle polveri sottili nel nostro Comune».
Ferrini ha iniziato la sua relazione sottolineando che adesso c’è più consapevolezza dell’importanza del verde: «c’è maggiore apprezzamento della natura negli ambienti urbani e si è capito che c’è bisogno di infrastrutture verdi nelle città come mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici». Ma è necessaria una «buona governance» di questo trend o “rivoluzione verde”, se vogliamo trarne tutti i benefici possibili.
Quanto è forte la relazione fra spazi verdi, ambienti urbani e salute? Una ricerca citata da Ferrini dimostra che c’è una relazione inversa fra la quantità di spazi verdi presenti in un raggio di 3 km e la percentuale di persone che percepiscono la propria salute come non buona. E fra i benefici socio-sanitari derivanti dalla presenza della natura in aree urbane e periurbane Ferrini ha ricordato i seguenti: incremento della produttività dei lavoratori, miglioramento della salute e del benessere e persino più coesione sociale, riduzione della criminalità e creazione di posti di lavoro.
Ma quali sono i fattori, i parametri che determinano gli effetti positivi del verde sulla salute? Tre soprattutto, ha spiegato Ferrini, la biodiversità, l’accessibilità (con la nota regola del 3-30-300: 3 alberi visibili da ogni abitazione, 30% di copertura arborea in ogni quartiere, distanza massima di 300 metri dallo spazio verde più vicino per ogni cittadino), la prossimità (a 15/20 minuti di distanza) e l’equità. In particolare, il professore si è soffermato sulla perdita di biodiversità, di specie negli ecosistemi, che si è verificata nel mondo dal 1800 al 2000: -13,6%. È essenziale, ha spiegato, per la salute, perché il declino della biodiversità causa una privazione microbica (scarso microbiota) e quest’ultima può determinare disturbi nella risposta immunitaria, vale a dire alto rischio di malattie infiammatorie. Il concetto fondamentale è quindi quello di salute globale (One Health), che «riconosce che la salute degli esseri umani è legata alla salute degli animali e dell’ambiente».
Ferrini ha poi, tra le altre cose, rapidamente spiegato i meccanismi di intercettazione del particolato da parte delle foglie degli alberi e distinto l’adsorbimento (fissazione sulla superficie delle foglie) dall’assorbimento vero e proprio. Tipicamente, ha detto, 1 cm2 di area fogliare adsorbe 10-70 mg di PMx all’anno e le piante latifoglie sono generalmente più efficaci delle conifere, così come le piante sempreverdi più delle decidue. «La combinazione di tratti diversi – ha affermato il professore richiamando uno studio di Sgrigna et al del 2020 – è un fattore chiave per migliorare l’efficacia sulla riduzione del PM. Foglie ruvide, con forme complesse, elevata densità di stomi e maggiore persistenza delle foglie stesse sono state correlate ai più alti valori di deposizione di PMx». E non vanno trascurate nemmeno le proprietà della corteccia.
Mentre, passando ad altri inquinanti, ha spiegato che un acero di medie dimensioni può rimuovere dall’aria in un anno 60 mg di cadmio, 140 mg di cromo, 820 mg di nichel e 5200 mg di piombo. Ferrini ha inoltre presentato una serie di tabelle con risultati di esperimenti e classifiche di specie arboree in relazione alla loro capacità di intercettare vari tipi di inquinanti.
Ma ha subito avvertito che tali classifiche vanno prese con le pinze, quando si tratta di scegliere le specie giuste per un impianto in ambiente urbano: le condizioni di contesto sono troppo importanti e le variabili in gioco sono tantissime, per cui si tratta di un lavoro da sarto, su misura. Ad esempio, contano moltissimo la posizione (distanza dalla sorgente di inquinamento) e la struttura della vegetazione per il filtraggio dell’aria. Come dimostrato anche dalla ricerca sugli arbusti effettuata a Pescia.
La conferenza di Ferrini si è conclusa con un’ironica citazione di Galeno (Pergamo 129 – Roma 201 d.C.): «Il medico migliore è la natura: cura i tre quarti della malattie e non sparla dei colleghi».
L.S.