Produzione d’olio: rilancio sia con oliveti tradizionali che intensivi

produzione d'olio - oliveti tradizionali e oliveti intensivi

Il progetto MOLTI del CREA punta a migliorare la produzione italiana di olio di oliva e la competitività della nostra olivicoltura sia negli oliveti tradizionali che tramite oliveti intensivi. Il coordinatore Lodolini: «il rilancio può passare attraverso l’impiego di diversi modelli colturali, che possono integrarsi l’uno con l’altro in modo da prevedere ‘olivicolture’ differenti, gestite con tecniche agronomiche coerenti rispetto al modello prescelto».

 
L’olivicoltura italiana continua ad essere ai vertici mondiali, superata dalla Spagna per quantità della produzione e delle esportazioni. E sono qualitativamente eccellenti molti dei nostri oli extravergini. Però siamo in ritardo rispetto alla concorrenza estera, in primis spagnola, dal punto di vista della competitività e dei livelli produttivi. E, come dimostrano i nuovi ingressi di Paesi nel Consiglio Oleicolo Internazionale, i potenziali concorrenti aumentano. In questo contesto come rilanciare l’olivicoltura italiana migliorando la produttività dei nostri oliveti?
È la questione centrale affrontata dal progetto “MOLTI – Miglioramento della produzione in Oliveti Tradizionali e Intensivi” realizzato dal CREA – Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura con il sostegno finanziario del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) di cui si è parlato in una due giorni tenutasi la settimana scorsa, come riferito in una nota del CREA del 6 aprile.
«Il settore olivicolo italiano – ha specificato il prof. Carlo Gaudio, presidente del CREA - è tra i più importanti al mondo: la nostra produzione, infatti, incide per il 15%/18% su quella globale (seconda dopo la Spagna), siamo il secondo esportatore (dopo la Spagna) e il primo importatore di olio, in quanto primi consumatori al mondo di quello che è il condimento principe della dieta mediterranea e della cucina italiana. Abbiamo 1 milione di ettari di superficie olivetata, gestiti da 827mila aziende agricole (localizzate principalmente in Puglia, Calabria e Sicilia, ma anche in Campania, Abruzzo, Lazio e Umbria), dagli elevati standard qualitativi (42 DOP e 7 IGP per oli di oliva e 4 DOP per olive da mensa) e dalla forte caratterizzazione territoriale (oltre 500 cultivar)».
Però, «nonostante l’eccellenza del nostro olio e il carattere di multifunzionalità della olivicoltura italiana, un patrimonio ambientale, paesaggistico e storico, unico nel suo genere - viene sottolineato dal CREA - il settore si trova in forte ritardo rispetto alla concorrenza di altri Paesi e ha bisogno di essere rilanciato attraverso il rinnovamento, l’innovazione e l’ampliamento delle produzioni, con un approccio che tenga in giusto conto la variegata realtà olivicola italiana. Le difficoltà sono numerose: dall’elevata polverizzazione delle proprietà (oltre il 60% sono piccole e medie imprese a conduzione familiare), alla collocazione in ambienti collinari (più difficili per la meccanizzazione), alla predominanza degli oliveti tradizionali (circa i 3/4 del totale), con densità inadeguate, sesti irregolari, alberi spesso vecchi, grandi e/o con più fusti, spesso meno produttivi e limitanti nell’uso delle macchine».
Il progetto MOLTI, che coinvolge tre centri di ricerca del CREA - Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, Agricoltura e Ambiente e Ingegneria e Trasformazioni Agroalimentari – ha proprio l’obiettivo di recuperare tale gap esistente tra l’olivicoltura italiana e quella degli altri Paesi concorrenti, offrendo ai produttori le conoscenze e le tecniche per una olivicoltura più moderna, competitiva e sostenibile. Come?
Da un lato puntando sul recupero degli oliveti tradizionali in diversi areali italiani (Sicilia, Calabria, Puglia, Lazio e Umbria) e con le principali varietà locali (rispettivamente Nocellara del Belice, Carolea, Cima di Bitonto, Leccino e Moraiolo). E’ emersa infatti la possibilità di una ripresa dell’attività vegetativa e produttiva degli oliveti (con tempistiche che dipendono dalla varietà e dalle specifiche condizioni pedo-climatiche) e di un taglio graduale dei costi grazie ad una gestione funzionale della potatura e a una riduzione degli input esterni, a condizione che il suolo sia gestito in modo conservativo e con pratiche agroecologiche in grado di incrementare la sostanza organica e la biodiversità e sostenere il recupero produttivo degli alberi.
Dall’altro, con riferimento agli oliveti intensivi, sono stati studiati il comportamento vegetativo e riproduttivo e l’adattabilità di alcune varietà di olivo italiane all’allevamento in parete in differenti condizioni pedo-climatiche, l’utilizzo di pratiche per forzare la crescita e la produzione in impianti giovani nonché l’impiego di strategie di potatura e di gestione dell’acqua. Si tratta di tecniche funzionali per controllare l’equilibrio vegetativo e riproduttivo, assicurando così produzioni costanti negli anni. I risultati mostrano che alcune varietà italiane possono adattarsi a modelli colturali ad alta o altissima densità.
«Il rilancio del settore olivicolo-oleario – ha concluso il coordinatore del progetto MOLTI Enrico Maria Lodolini, ricercatore del CREA Olivicoltura, Frutticoltura e Olivicoltura - può passare attraverso l’impiego di diversi modelli colturali, che possono integrarsi l’uno con l’altro in modo da prevedere ‘olivicolture’ differenti, gestite con tecniche agronomiche coerenti rispetto al modello prescelto».
 

Redazione