Pietro Porcinai: la sfida per raggiungere l'armonia propria della Natura

in Servizi

porcinai

Claudia Massi e Gianluca Chelucci hanno magistralmente analizzato alcune opere del maggior paesaggista italiano del Novecento con uno  sguardo attento alla sua storia e al suo importante apprendistato per mostrarne l'eredità odierna e gettare uno sguardo al futuro, facendo tesoro del contributo artistico e intellettuale di Porcinai.  

È il professor Giulio Masotti, presidente dell'Assemblea dei Soci Fondatori della Fondazione Jorio Vivarelli, a introdurre il convegno su Pietro Porcinai ricordando ai presenti perché è stata scelta Villa Storonov per questa occasione. Si tratta infatti di un importante luogo d'arte e di formazione per i giovani artisti di Pistoia: immersa nel verde, tanto importante per la cittadina, e allo stesso tempo non distante dal centro storico. Dunque un crocevia importante che spesso però viene dimenticato, come lamenta Masotti, ma che è sicuramente da valorizzare per la sua bellezza e particolarità. Questo intreccio fra arte e natura si adatta perfettamente al convegno su Porcinai, che come ricorda da subito Gianluca Chelucci, storico dell'architettura e console regionale del Touring Club italiano, ha tenuto uniti, lungo tutta la sua carriera, parte artistica e  programmazione del verde e dei vivai. Le origini di Porcinai si rifanno a Villa Gamberaia a Settignano, dove nasce, figlio del giardiniere della Villa. Qui Pietro apprende subito la bellezza del lavorare la terra con fatica, tipica della grande civiltà del paesaggio toscano. Questo, spiega Chelucci, resterà un elemento della sua poetica quale imprinting a tutte le sue opere. Prosegue la storia di Porciani con il suo apprendistato “naturale” nella città di Firenze, dove conosce anche la civiltà cosmopolita. Qui frequenta la Scuola Agraria di Firenze, negli anni '20, e svolge parte del suo apprendistato per poi approdare alla città dei vivai. A Pistoia contribuisce alla creazione dei cataloghi di alcuni vivai e cresce la sua consapevolezza delle potenzialità della città e del suo verde, che, con semplicità, poteva essere trasformato in un raffinato profilo da sfruttare anche a livello comunicativo. «Oggi - lamenta Chelucci - Pistoia ha perso la possibilità di realizzare un piano urbano con poco e proprio grazie al suo magnifico verde». Porcinai comprende invece da subito la possibilità di sfruttare l'arte dei giardini nei vivai e a vantaggio della città di Pistoia. Come si legge in alcuni suoi scritti del tempo, il giardino doveva essere concepito come «intimo, confortevole, abitevole», secondo i gusti e i bisogni del vivere moderno, tenendo conto dei desideri del proprietario. Chelucci evidenzia inoltre come Porcinai sapesse approfittare di ogni strumento per pubblicizzare il suo lavoro e nel tempo si vede come egli sa adattarsi ai linguaggi contemporanei, come nel caso dell'utilizzo della grafica tipica futurista nella rappresentazione dei giardini. Tradizione e innovazione si fondono nel lavoro di Porcinai e si ispirano ai gusti europei, non solo italiani. Alcune sue creazioni, ricorda Chelucci, sono oggi a rischio come nel caso del Parco di Montaletto a Serravalle Pistoiese, realizzato nel 1937 ed oggi in vendita. Un altro grande lavoro, ancora oggi visibile, capace di esemplificare la grande innovazione che Porcinai sapeva apportare è quello dello Stabilimento di Fioricoltura Rose Barni, dove egli realizza anche il vivaio dal punto di vista organizzativo, ponendolo strategicamente vicino all'autostrada e facendo attenzione a come poteva essere percepito ad ogni distanza. Porcinai segue personalmente l'organizzazione della vendita in modo che i fiori siano consultabili con facilità. Chelucci conclude il suo intervento ricordando il grande omaggio che Giuliano Gori ha dedicato a Porcinai a Villa Celle, ispirandosi alla sua figura (come si evince chiaramente da “Omaggio a Porcinai” di Beverly Pepper). 

flormartLa seconda parte del convegno ha trattatoinvecel'eredità di Porcinai con uno sguardo al futuro ed è stata affidata a Claudia Massi, architetto che svolge attività didattica e di ricerca presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze e ha già organizzato numerosi incontri di studio e convegni su personalità dell’Ottocento e Novecento in un più generale impegno di analisi storico-territoriale a fini di tutela e valorizzazione. Massi ci ricorda da subito il fine con cui operava Porcinai: «raggiungere l'unità e l'armonia che la Natura ci offre in tutte le sue esemplari creazioni». Un grande accento va posto poi sull'importanza che Porcinai ha, sapientemente, dato alla collaborazione con artisti, professionisti del verde e figure legate al mondo del turismo, come nel caso della collaborazione montecatinese con Pacino Pacini, consulente ATP e creatore della SAIM di Montecatini, e soprattutto con Dino Scalabrino, presidente ATP. Con quest'ultimo Porcinai ha condiviso la passione per il lavoro, per cui definisce, in una corrispondenza con lui, i progetti come propri figli. L'Accademia Dino Scalabrino è il perfetto esempio di questa concezione, i due scelgono assieme le sculture per realizzare un museo all'aperto e raccolgono da subito grandi consensi. Dalle Terme di Montecatini Terme ci spostiamo, accompagnati dalle preziose osservazioni di Claudia Massi, al Parco di Pinocchio. L'allora sindaco di Pescia, Rolando Anzilotti, commissionò vari artisti per la realizzazione di questo che era stato concepito come un parco monumentale. Nel 1956 venne inaugurato il Parco alla presenza del Presidente della Repubblica Gronchi e nel 1972 venne inaugurato il “Paese dei Balocchi”, dove lo spazio dell'analisi si dilata nel tempo e, ad ogni passo, si scoprono nuovi spazi. L'anima del progetto, oggi forse non compresa, come ricorda Massi, era quella di creare un parco monumentale, dunque non un parco di occasioni di turismo, un parco divertimenti, perché, come scriveva Anzilotti, Pinocchio è parte di ognuno di noi come conoscenza intima e profonda, impossibile da trasformare in leggerezza. Massi evidenzia poi come ci siano numerosi richiami fra il Parco di Pinocchio, novecentesco, la Villa Garzoni, settecentesca, e il borgo medievale di Collodi. Ecco allora perché non si dovrebbe intervenire in un paesaggio già così forte e caratteristico che Porcinai aveva saputo tenere assieme nella realizzazione del Parco. Ad esempio, l'Osteria del Gambero Rosso, all'interno del Parco, ci ricorda subito la tipica piazzetta di un borgo medievale o, ancora, la tettoia è come quella di una casa colonica toscana e il tavolo ci rimanda all'architettura industriale toscana. Quest'ultima, cara anche a Lorenzini, la si ritrova subito anche nella conformazione di Collodi, circondata dalle cartiere. Altro collegamento sapientemente inserito da Porcinai sono le pietre, riprese dal torrente Pescia, ma anche dal centro medievale di Collodi e dal racconto di Pinocchio, quando egli si trova a scappare da Geppetto che lo rincorre e crea un “fracasso” con i suoi piedi di legno sul lastricato. Massi infine descrive abilmente tutta la bellezza delle sculture interne al Parco di Pinocchio, come la casa della Fata: «Ho fatto l'architetto perché da piccola guardavo la casa della fata, il mio immaginario si riempiva osservando le sfaccettature dei vetri delle bottiglie del tetto». 

Anna Lazzerini